di Giuseppe Ruiu
In quasi ogni paese
della Sardegna vi è il ricordo della presenza di qualche fuorilegge
locale che in un dato momento storico impose la sua autorità
banditesca, rimasto impresso magari per audacia, temerarietà e
sfrontatezza verso l'autorità regia, o peggio per tutte quelle
declinazioni che la criminalità impone, come l'efferatezza e la
spietatezza.
La Domenica del Corriere, disegno di Achille Beltrame
Anche Cargeghe,
seppur borgo socialmente tranquillo in quasi tutto il corso della sua
lunga storia, ebbe i suoi banditi. A metà del 1800, epoca alquanto
turbolenta dal punto di vista socio-politico in tutta l'isola, dovuta
alle condizioni di vita molto dure e precarie, ai fermenti politici
dovuti all'oscurantismo sabaudo e alle frequenti epidemie come il
colera, il paese ebbe ben tre fuorilegge datisi alla macchia dopo
aver commesso i propri delitti.
Antonio Maria
Derudas, Giovanni Maria Puzzone e Angelo Masala, furono coloro che la
tradizione rese tristemente celebri. Tra essi colui che ebbe miglior
vocazione criminale fu certamente il Derudas, vuoi anche per aver
avuto come compagno di latitanza per circa due anni il celebre
Giovanni Tolu di Florinas (fu il sodalizio più longevo per il Tolu)
che alla fine lo tradì - per non essere tradito - come egli stesso
ebbe ad ammettere.
In questo breve
articolo, riporteremo oltre ad alcune scarne note biografiche sul
Derudas, il Puzzone e il Masala desunte dalle loro registrazioni di
battesimo, soprattutto la descrizione che di essi ne fa sempre il
Tolu nel suo celebre libro autobiografico pubblicato dallo scrittore
sassarese Enrico Costa.
Antonio Maria
Derudas, che nell'atto di battesimo presente sui registri
parrocchiali di Cargeghe è registrato come Antonio Maria Ruda Soro,
nacque in Cargeghe il 13 febbraio del 1833 da Salvatore Ruda (in
altre registrazioni Deruda) Chighine di Cheremule e Gavina Maria
“Baingia” Soro di Banari, entrambi dimoranti a Cargeghe.
La carriera
criminale del Derudas (continueremo a usare il cognome così come
riportato dal Tolu) ebbe una svolta decisamente efferata nel 1851
quando insieme al compagno Giomaria Puzzone (nelle registrazioni
parrocchiali: Giovanni Giuseppe
Maria Pugioni Fadda. Cargeghe 9 aprile 1830, di Antonio Pugioni di
Maragolia e Maria Francesca Fadda di Thiesi). trucidarono sul
sagrato della chiesa parrocchiale di Cargeghe il capitano dei
barracelli.
Disegno di Achille Beltrame
Così viene
riportata la vicenda sul libro del Tolu:
«Annoiato
della mia solitudine, durata per oltre un anno, mi ero unito in quel
tempo ai banditi Antonio Maria Derudas e Gio. Maria Puzzone, di
Cargeghe; i quali battevano la campagna dopo l'assassinio del
capitano dei barracelli, da loro freddato nel piazzale della chiesa
del paese, mentre rincasava. (…) Ho già parlato dei due banditi
Antonio Maria Derudas e Giovanni Maria Puzzone, di Cargeghe, datisi
alla campagna dopo aver ucciso il capitano dei barracelli, che li
disturbava nelle loro imprese rapaci. Questi giovani vagabondi erano
ladruncoli che prendevano diletto a uccider buoi e cavalli, a danno
del barracellato.» (…) Poco dopo l'uccisione del capitano, un
altro giovine di Cargeghe – Angelo Masala – uccise certo Manconi,
suo compaesano, e fuggì alla giustizia dandosi alla macchia. Si
ebbero così, in breve tempo, tre banditi di Cargeghe.»
Sui
registri parrocchiali si trova anche la registrazione di battesimo di
quest'ultimo: Angelo Masala Merella. Cargeghe 18 luglio 1831, di
Baingio Masala e Giovanna Merella entrambi cargeghesi.
«Il
fratello dell'ucciso – Giovanni Manconi – volendo vendicarsi
dell'assassino, chiese l'aiuto dei due banditi Derudas e Puzzone; e
tutti e tre riuscirono a freddare con una fucilata Angelo Masala, che
sotterrarono in campagna, senza che alcuno li vedesse.
Il
prete Luigi Tolu di Cargeghe, mio cugino, un giorno si rivolse a me,
pregandomi di proteggere il bandito Derudas, che voleva liberare ad
ogni costo, ritenendolo un disgraziato, più che un cattivo soggetto.
E fu dietro alle sue insistenti raccomandazioni, che mi decisi ad
unirmi col Derudas e col Puzzone, coi quali rimasi per circa un anno,
sebbene non di continuo.
Un
giorno, insieme al Derudas, attraversavo il sito della Funtana de sa
piarosa, di fronte alla cantoniera di Campomela, nel tenimento di don
Battista Solinas di Cargeghe. A un certo punto il mio compagno si
fermò, e, indicandomi una zolla, mi disse sorridendo:
-
Vedi? Io, Puzzone e Manconi abbiamo qui seppellito il cadavere di
Angelo Masala!
Trascorsi
quattro o cinque mesi, il Puzzone fu arrestato; ed io continuai a
tener compagnia al Derudas, separandomene però di tanto in tanto,
poiché diffidavo di lui.»
Per il 1851
probabile anno nel quale venne trucidato il capitano dei barracelli,
è presente nei registri parrocchiali una registrazione di morte
violenta che tradotta recita:
«22
giugno 1851 Cargeghe. Costantino Colombo di Bonorva, come da quanto
riferito dalle lettere del giudice ordinario, morì, come si scoprì
dai segni rinvenuti, di morte violenta lungo la strada nella
comunione della Santa Madre della Chiesa. Il suo corpo è sepolto nel
cimitero. In fede Luigi Tolu pro parroco».
Sempre nei libri
parrocchiali è presente anche la probabile registrazione di morte
del Manconi per mano del Masala:
1
novembre 1853, Cargeghe. Pietro
Manconi Marongiu celibe figlio del defunto Domenico e Antonia Maria
di questo luogo, la sua età di circa ventiquattro anni, nell'agro,
colto da morte violenta senza sacramenti, il suo corpo è sepolto nel
cimitero. In fede Luigi Tolu pro parroco.
La
criminale carriera del Derudas ebbe un epilogo quando Giovanni Tolu
avendo la certezza di essere stato tradito dal Derudas e dalla
moglie, architettò un piano per farlo cadere nelle maglie giustizia.
È lui stesso a raccontarlo in un capitolo del suo libro dedicato
proprio al Derudas.
Disegno di Achille Beltrame
«Nel
territorio di Banari era il molino di proprietà della contessa
Musso. Il mugnaio, che lo aveva in affitto, viveva in continui litigi
colla propria moglie, poiché costei teneva seco una bambina
illegittima, che turbava la pace domestica.
Tanto io, quanto il
mio compagno Derudas, capitavamo con frequenza nel molino, e la
moglie del mugnaio si sfogava con noi, mettendoci a parte dei
disaccordi coniugali.
Un giorno che mi
trovai solo con essa, la moglie inasprita mi raccomandò caldamente
di liberarla dal peso del marito, uccidendolo.
Feci di tutto per
smuoverla dal suo proposito:
– Metti giudizio,
e sta savia! – le dicevo. – Non dar retta ai tristi consigli
della tua coscienza. Fa la pace con tuo marito, e vivete tranquilli!
Il mugnaio era un
buon uomo; ci dava ospitalità con piacere, e di tanto in tanto mi
regalava qualche scudo. M’irritavano, dunque, gli eccitamenti di
quella femmina, che ad ogni costo voleva diventar vedova.
Ma la donna è
tenace ne’ suoi proponimenti di vendetta; e la moglie del mugnaio,
vedendo la mia ripugnanza a compiacerla, mi lasciò in pace. Ella si
rivolse segretamente al mio compagno, a cui offrì sessanta scudi per
eseguire il colpo.
Il bandito Derudas
si lasciò convincere dal danaro e dalle tenerezze della bella
mugnaia; e un bel giorno, con una buona fucilata, le tolse dal fianco
l’importuno marito.
Quando appresi il
fatto, rimproverai acerbamente il mio compagno:
– Che cosa hai
fatto? Perché uccidere l’uomo che ci dava a mangiare e ci offriva
asilo nei giorni del pericolo? Sei un tristo e un miserabile!
Il Derudas si
strinse nelle spalle e mi disse:
– Oh, sta a vedere
che un bandito dovrà lasciarsi vincere da uno scrupolo!
Avvenne intanto che
il mio compagno erasi pazzamente innamorato di Maria Grazia, la
bellissima vedovella di un altro mugnaio, il quale conduceva il
molino di San Lorenzo, nei dintorni di Florinas, da me pure
frequentato. Antonio Maria Derudas fece di tutto per celarmi la sua
fiamma; ma non tardai ad accorgermi che sospettava di una segreta
relazione fra me e la vedova.
Io rideva delle sue
smanie gelose, poiché sapevo che la vedovella, una bellissima donna,
era realmente innamorata di un terzo: di un giovane, col quale erano
passati accordi di matrimonio.
Il giovane
innamorato erasi con me aperto, svelandomi che le relazioni colla
vedova erano di natura molto intima. Egli chiedeva un mio consiglio.
Io, che sapevo
scaltra la vedova, poiché nelle assenze del giovane cercava di
tirare a sé anche il Derudas, gli dissi:
– Apri gli occhi,
fratello! Tu devi fidare nella mia sola amicizia. Quando ti avviserò
di non andare più da lei, ubbidiscimi!
E il giovane,
infatti, aveva cominciato a rendere più rare le visite al molino,
dopoché si era accorto che la vedovella aveva un cuore sì largo, da
poter dare ricovero ai due… ed anche a tre!
Nondimeno la scaltra
mugnaia, accompagnata dal suo giovane amante, un bel giorno fece una
gita a Sassari, insieme ad altro mugnaio colla rispettiva moglie. Le
due coppie presero alloggio in un’osteria, ordinando una camera
separata, per ciascuna.
Questo fatto fece
mormorare i maligni, e specialmente i coniugi mugnai, ch’erano
stati testimoni della scandalosa intimità dei due compagni di
viaggio. Tornata la vedovella al molino, non tardò a notare la
freddezza del giovane e la corte più assidua che le andava facendo
Derudas, ignaro del fatto dell’osteria. Temendo che il mugnaio e
sua moglie, colle chiacchiere, riuscissero a far aprire gli occhi a
Derudas sull’episodio di Sassari, la vedovella si strinse vieppiù
a quest’ultimo, esortandolo ad uccidere i due testimoni pericolosi,
non so per quali torti, che diceva aver
ricevuto.
Il Derudas un bel
giorno venne a confidarmi le apprensioni della vedova, la quale gli
consigliava ad uccidere il mugnaio e la moglie, perché ci facevano
la spia.
Io, che tutto sapevo
dal giovane amante, gli risposi infastidito:
– Ma non ti
accorgi dunque che sei menato per il naso? Da qualche tempo a questa
parte mi vai contando frottole, che mi rivelano la tua poca lealtà.
Fammi toccare con mano che i coniugi mugnai ci fanno la spia, e mi
prenderò io l’incarico di spararli, poiché nel tiro sono di te
più esperto. Cessa, però, dallo spacciarmi tante fandonie. Apri gli
occhi da una buona volta, ed ascoltami! Il giorno che tu torcerai un
capello a quel buon uomo, od a sua moglie, avrai da farla con me! I
capricci e gli
amori ti costeranno
ben cari!
Le Petit Journal
Il Derudas si
offese, e mi tenne il broncio; ed io mi accorsi che cercava
vendicarsi. Legato alla vedova da relazione amorosa, si erano
entrambi proposti di farmi arrestare, colla speranza di
conseguire la loro
felicità. La causa del Derudas era meno grave della mia, ed egli
sperava di ottenere dal Governo l’impunità, a prezzo della mia
cattura o della mia morte, ottenute col mezzo
di una delazione o
di un tradimento.
Era questo il sogno
di Maria Grazia, che voleva disfarsi di me, per unirsi in matrimonio
con un bandito graziato. Il giovane si era stancato di lei, ed ella
non voleva perdere il secondo partito.
Ricordando le mie
minaccie, e temendo il mio furore, il Derudas tornò a parlarmi della
convenienza di uccidere i due mugnai, che ci facevano la spia. La
vedovella pareva preoccupata di quel certo caso dell’osteria di
Sassari, che poteva mandare a monte il suo matrimonio.
Ero sul punto di
tutto svelare al mio compagno, ma mi contenni. Mi limitai a
rispondergli con malagrazia:
– Di nuovo colle
supposte spie? Decisamente le donne t’empiono la testa di vento. Te
l’ho pur detto di non più parlarmene!
E così dicendo mi
alzai con stizza, come per uscire dalla capanna, in cui entrambi si
era.
– Dove vai? – mi
chiese Derudas con tono risentito.
Mi voltai,
squadrandolo con disprezzo:
– Vado dove mi
pare e piace! D’ora innanzi, se ti è cara la mia compagnia, dovrai
venirmi dietro come un cane. Io non ti comunicherò più le mie
intenzioni!
– Allora sarà
meglio che ciascuno faccia la sua strada! – mi disse con aria
brusca.
– È precisamente
quello che desidero! – risposi secco. – Ti predico, però, che
dentro l’anno cadrai nelle mani della giustizia… e ti
arresteranno addormentato. Io conosco quanto vali!
Così dicendo
piantai il mio compagno; e da quel giorno ci guardammo in cagnesco.
Io voleva solamente accertarmi del suo proposito di farmi la spia, di
concerto colla scaltra vedovella. Una volta avute in mani le prove
della loro perfidia avrei io pensato al modo di fargli pagar caro il
tradimento.»
«Da
poco tempo ero separato dal Derudas, quando egli uccise il bandito
che aveva scelto a suo nuovo compagno. Dirò brevemente il fatto.
Un ricco possidente
d’Ossi si era bisticciato vivamente con un suo servo, certo Antonio
Elias; e s’inasprì talmente che lo percosse. Il servo, più
robusto di lui, si avventò al suo padrone, e dopo averlo picchiato
si salvò colla fuga.
Il ricco
proprietario, volendo vendicarsi dell’atroce insulto, mi chiese un
abboccamento in campagna. Egli mi propose una larga ricompensa, se
avessi tolto dal mondo quel servo prepotente ed ingrato. Gli risposi
che si fosse ad altri rivolto, poiché io non solevo uccidere chi non
mi aveva offeso.
Appresi in seguito
che il padrone si era rivolto a Derudas, proponendogli la stessa
uccisione. Il Derudas osservò che non osava fare il colpo, perché
temeva la mia collera e la mia vendetta.
Allora il
proprietario di Ossi, coll’intento d’incoraggiarlo, gli fece
credere avergli anch’io promesso di sbarazzarlo dal servo audace.
– Pensaci, dunque,
se vuoi guadagnare ottanta scudi!
Anche questo
colloquio era venuto a mia conoscenza, per la relazione di
confidenti, che a me non mancavano.
Avevo intanto saputo
che il bandito Elias, il servo prepotente, si era dato a scorrazzare
la campagna insieme al Derudas, che se lo aveva associato come
compagno di ribalderie.
Un giorno Derudas
osò venirmi incontro. Avendolo poco prima veduto con Elias, gli
dissi seccamente:
– E perché ti
presenti solo? Non è forse degno il tuo compagno d’essermi
presentato? Chiamalo pure, se lo hai nascosto!
Derudas si accostò
al ciglione, e lo chiamò con un lungo fischio. Quando comparve
l’altro bandito, lo apostrofai:
– Perché ti
accompagni con Derudas? Non hai capito ancora che egli fu pagato per
ucciderti? Abbandonalo, se ti è cara la vita!
Il Derudas mi
fulminò con un’occhiata, ma tacque. Senz’altro dire, fece un
brusco cenno al compagno, e si allontanarono.
Ero sul punto di
fargli fuoco addosso, ma poi mi contenni.
Disegno di Achille Beltrame
Due o tre volte era
venuto a tiro del mio fucile, ma sempre lo risparmiai, non volendo si
dicesse che io uccidevo i miei compagni. Uccidere il proprio compagno
è per i banditi la più grande delle vergogne e delle vigliaccherie;
poiché darebbe a sospettare che l’uccisione sia seguita nel sonno.
Aspettai un’occasione più propizia. Volevo d’altronde accertarmi
che insieme all’amica mugnaia egli mi facesse realmente la spia.
Non trascorse una
settimana da quel nostro incontro, quando Derudas uccise il giovane
Elias, per la cui morte gli vennero sborsati ottanta scudi dal ricco
proprietario d’Ossi. Questa somma gli abbisognava per la
liberazione. In noi banditi era radicata la credenza che la giustizia
avesse bisogno di soldi per chiudere gli occhi ed alleggerire la
mano, e la giustizia d’allora non era quella d’oggi! I giudici
erano anch’essi complicati nei partiti, e ciascuno aveva i suoi
bravi protetti e protettori, specialmente a Sassari.
Verso quel tempo
Derudas aveva tentato di separarsi dalla vedovella; ma questa gli
disse:
– Bada, Antonio
Maria, a quello che fai! Ricordati che per te ho licenziato un
giovane che mi voleva bene. Se persisti ad abbandonarmi perché
stanco di me, ti prevengo che mi raccomanderò a Giovanni Tolu per
aggiustare la faccenda!
Questa minaccia
sortì il suo effetto, poiché Derudas aveva paura di me. Egli finì
per sposare la vedovella in casa del rettore, a Banari.
La teneva in un
molino, dove andava a trovarla di tanto in tanto, dandole
appuntamenti in questo o in quel punto, come usano tutti i banditi
ammogliati, che non possono avere una casa coniugale.
Non corse lungo
tempo che Derudas venne arrestato, avverandosi la mia profezia. I
carabinieri lo avevano colto mentre dormiva. L’imbecille si era
svegliato in carcere!
La mancanza di prove
testimoniali favoriva la causa di Derudas. I processi erano per la
maggior parte indiziari; e correva la voce della probabile
assoluzione del bandito mio compagno. Si
accennava da taluni
a persone influenti, a qualche giudice a cui si erano dati gli 80
scudi di Elias per diventare più giusto. Non mancò chi mi pose in
avvertenza, dicendomi che la bella mugnaia era intesa col detenuto
marito per ottenere l’assolutoria, facilitandola colla mia cattura.
Quest’ultima
diceria – che correva da qualche tempo – mi aveva messo i brividi
addosso. Sentivo di essere feroce. Ero pentito di non aver ucciso
Derudas; maledicevo gli scrupoli e i riguardi ridicoli, che avevano
trattenuto il mio braccio.
Quale umiliazione
per me, se si fosse avverato il pronostico!
Io in carcere, e
Derudas in libertà? Questo pensiero mi torturava.
Avevo bisogno di
convincermi che realmente Maria Grazia mi tendesse un’insidia. Non
volevo prestar fede ai molti che mi assicuravano che fra il detenuto
e la moglie (annuente la polizia) correvano segreti rapporti.
Vivevo irrequieto;
le mie notti erano turbate da sogni angosciosi. Avrei voluto
travestirmi da guardia carceraria per uccidere il mio perfido
compagno nella sua cella di San Leonardo.
S’ei fosse uscito
dal carcere prima della mia cattura, sarei stato più contento,
poiché avrei potuto ucciderlo al fianco della propria moglie; ma chi
mi assicurava che la sua libertà non era
subordinata alla mia
perdizione?
In preda a questi
tormenti non pensai che a procurarmi le prove del tradimento a mio
danno.
Le Petit Parisien
Aggirandomi un
giorno nelle vicinanze del molino della moglie di Derudas, mi cacciai
nel vicino bosco, dove vidi la sua bella servetta, che andava in
traccia d’un maiale sbandato. Siccome in altri tempi le avevo fatto
un po’ di corte, me le avvicinai sorridendo:
– Buon giorno,
Catterina. Come stai?
– Oh! Beato chi ti
vede! È un bel pezzo che non vieni a trovarci nel nostro molino!
– Dacché hanno
arrestato il tuo padrone ho sospeso le visite al molino per non dar
pasto alla maldicenza.
– Che scrupoli! E
perciò hai avuto paura di rivedermi? Ben gentile!
– Riparerò al mio
torto fra breve. Verrò a salutare Maria Grazia… e te più di lei.
– Possibile! E
quando? La mia padrona sarà tanto contenta di rivederti. Mi parla
sempre di te.
– Davvero?
– Bada di non
dirlo a nessuno, Catterina! Addio, belloccia!…
– Tieni le mani a
posto!
– Sei proprio
adirata con me?
– Te lo dirò
quando verrai al molino.
E la servetta si
allontanò, saltellando come una capriola.
Né il venerdì, né
il sabato mi mossi per andare al molino; ma la sera stessa pregai un
mio parente, perché si appiattasse per tre giorni in un punto
lontano, per sapermi riferire le persone che
sarebbero andate a
far visita alla mugnaia.
– È questione
forse di gelosia?
– No: è un mio
capriccio. Bada di non farti vedere!
La domenica mattina
il mio congiunto tornò a me. Era alquanto turbato.
– Ebbene? – gli
chiesi. – Hai scoperto il misterioso visitatore?
– Altro che
visitatore! Venerdì sull’imbrunire mi sono imbattuto in sei
carabinieri sulla strada di Codrongianus. Erano diretti al molino, e
li ho visti sparire nel vicino boschetto. Certo si trattava di un
appiattamento, perché vi sono rimasti due notti. Erano guidati dal
maresciallo, il quale entrò due volte nel molino, dopo le dieci.
La trama era
scoperta, ed io non potevo più dubitare della perfidia di Maria
Grazia, che cercava di vendere la mia pelle per salvare quella di suo
marito.
Dovevo dunque
pensare alla vendetta: punire il marito dentro il carcere, e
strapparlo per sempre alla moglie; e tutto ciò senza far uso del mio
fucile.
Il tempo stringeva.
Il dibattimento di Derudas era incominciato, ed ogni ritardo poteva
pregiudicare il mio disegno.
Mi ricordai della
confidenza fattami un anno addietro da Derudas, dinanzi alla
cantoniera di Campomela.
Senza frapporre
indugio mi recai al villaggio di Mores, per abboccarmi con Antonio
Masala di Cargeghe. Era costui il fratello di Angelo, dell’uomo
assassinato da Derudas e da Puzzone
per incarico e col
concorso di Manconi.
Trovato il Masala
gli dissi:
– È una vergogna,
o Antonio! Com’è ch’hai fatto sì poco conto di tuo fratello
assassinato?
– E che doveva io
fare, quando mi sono ignoti gli uccisori? O
per dir meglio,
quando mi mancano le prove?
– Le prove si
trovano sempre, quando si cercano!
– Così fosse! Che
cosa mi consigli di fare?
– Fidarti di me.
Hai tu avvocato a Sassari?
– Sì. Il
dibattimento credo sia già incominciato.
– Chi è il tuo
avvocato?
– Cossu, il
grande.
– Ebbene, bisogna
scrivere al tuo avvocato.
– Scrivere che
cosa?
– Presso a poco
nei termini che io ti suggerirò.
– Sentiamo.
Ed io dettai,
accentuando le parole:
“Illustrissimo
Signor avvocato, Le do alcuni ragguagli che Ella si affretterà a
comunicare al procuratore del re.
I testimoni Ignazio Tolu e Giovanni Manconi, già esaminati dal
giudice istruttore subito dopo l’assassinio di Angelo Masala,
tacquero quanto sapevano perché i banditi Derudas e Puzzone
battevano allora la campagna, e li avrebbero uccisi se avessero
deposto il vero. Ora però che l’uno è morto, e l’altro è in
carcere, essi possono parlare. Oso sperare che l’eccellentissimo
Tribunale vorrà perdonare ai due disgraziati testimoni, i quali
deposero il falso, solamente per timore di perdere la vita. Angelo
Masala disparve, né si ebbero le prove della sua morte per
malefizio. Il suo cadavere fu sotterrato dagli assassini nel
tenimento di Don Battista Solinas nel sito sa funtana de sa piarosa,
in faccia alla cantoniera di Campomela. Si mandi a dissotterrare il
cadavere, seguendo le traccia che a calce della presente verranno
indicate”. (E qui diedi i più minuti schiarimenti sulla località
da me conosciuta).
Questa lettera fu
distesa e mandata all’avvocato Cossu.
Il dibattimento, che
era in corso, venne sospeso e rinviato.
Si esumò il
cadavere; si fece la perizia; furono uditi i testimoni indicati, e il
risultato del nuovo giudizio fu la condanna di Antonio Maria Derudas
ai lavori forzati a vita. Egli morì in galera dopo quattro anni di
pena.»
Disegno di Achille Beltrame
Negli
atti del Parlamento Subalpino per quanto riguarda i dibattimenti
rimandati dalla classe di Sassari negli anni 1856-1857, troviamo il
dibattimento di Ruda Antonio Maria per il reato di assassinio,
rimandato per essere, prima di aprirsi il dibattimento, risultato
avere altro processo in corso. Tale dibattimento aveva ben 11
testimoni iscritti.