di Giuseppe Ruiu
L'araldica è lo studio di blasoni e stemmi che in gergo prendono anche il nome di armi o scudi. La disciplina che ha dunque lo scopo di riconoscere, descrivere e catalogare gli elementi grafici per identificare in maniera univoca persone, famiglie e altri sodalizi umani.
Al suo interno l'araldica civica è quella specifica branca applicata a stemmi e gonfaloni dei comuni e delle città e più in generale degli enti istituzionali.
La descrizione di ogni stemma comunale è riportata sullo Statuto dell'ente di appartenenza, dove viene inoltre descritto l'iter della sua approvazione ufficiale.
L'articolo 4 dello Statuto comunale di Cargeghe così recita: «Stemma e gonfalone. 1. Il Comune negli atti e nel sigillo s'identifica con il nome di Cargeghe. 2. Lo Stemma del Comune è stato approvato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 4411 del 19 luglio 1988 registrato alla Corte dei Conti il 25 novembre 1986 e trascritto nel Registro Araldico dell’Archivio Centrale dello Stato il 12 gennaio 1987. Lo stemma è così descritto: “inquartato in decusse: nel primo, d’azzurro, alla fontana d’oro, zampillante
d’argento, alla torre di rosso, murata, chiusa e finestrata di nero, merlata di tre alla guelfa; nel terzo, di rosso, alla clessidra d’oro; nel quarto, d’oro, alle tre pecore d’azzurro, la centrale di fronte, le laterali in profilo, pascolanti sulla pianura di verde. Ornamenti esteriori da Comune”.»
Il rebus dello stemma dell'ente cargeghese risulta essere abbastanza semplice nella lettura dei simboli che lo compongono, dove nel primo quarto la fontana zampillante rappresenta la ricchezza delle acque e sorgenti che da sempre hanno caratterizzato il territorio comunale e che hanno sempre reso il paese autonomo dal punto di vista idrico grazie alle principali sorgenti di Magòla e Ortos.
Il secondo simbolo è costituito dalla torre rossa murata e merlata alla guelfa, che per chi abbia discrete conoscenze di storia sarda non può che riconoscervi l'emblema del Giudicato di Torres (anticamente il Logu de Ore) il regno medievale indipendente che governò i territori del nord Sardegna dall'alto al basso medioevo.
Cargeghe fece parte del Giudicato fino alla sua dissoluzione nella seconda metà del XIII secolo, ricompreso nella curadoria (le divisioni amministrative giudicali) del Figulinas per poi passare sotto la giurisdizione amministrativa dei territori sardi del casato tosco-ligure dei Malaspina che nel Logudoro insieme ai sardo-genovesi Doria si spartirono l'ex Giudicato turritano.
Ulteriore simbolo sono gli armenti al pascolo a chiarire quale sia stata l'attività lavorativa più caratterizzante il territorio con i suoi pascoli e le dolci colline: la pastorizia, l'allevamento del gregge dalla notte dei tempi maggiore sostentamento per la comunità.
Volutamente ultimo simbolo descritto è la clessidra d'oro a rappresentare l'emblema araldico della famiglia nobile sarda, ma di origine iberica, dei Santjust di Teulada che secondo tale riconoscimento nello stemma comunale avrebbe amministrato dal punto di vista feudale Cargeghe fino alla dissoluzione del sistema feudale con il riscatto dei feudi nel XIX secolo.
A questo punto è doveroso fare una digressione storica sull'avvicendarsi delle famiglie feudali a Cargeghe per specificare che i Santjust di Teulada mai ebbero alcun ruolo amministrativo in merito alla Baronia di Ploaghe sotto la quale Cargeghe venne ricompreso e i cui baroni furono anche signori feudali del paese, pertanto la presenza del loro blasone araldico, la clessidra d'oro, nello stemma dell'Amministrazione civica è del tutto arbitraria e ingiustificata.
Nel convulso periodo, XIV secolo, della guerra permanente tra il regno catalano-aragonese contro l'autoctono Giudicato d'Arborea e i potentati dei Doria e dei Malaspina nel nord Sardegna, Cargeghe come detto ricadde sotto la giurisdizione dei Malaspina che con alterne fortune si protrasse per un dato periodo fin quando vennero scacciati dai loro territori dai catalani che crearono i feudi (la Baronia d'Osilo ad esempio) e li assegnarono alle proprie famiglie nobili che sovvenzionarono la conquista della Sardegna altrimenti alle élite sassaresi che parteggiavano per i nuovi conquistatori.
In questo gioco di alleanze e tradimenti Cargeghe venne infeudata a vari personaggi che lasciarono ben poche tracce fin quando comparve il mercante e cavaliere sassarese (secondo alcuni notaio di origine catalana o corsa)
Serafino de Montañans (Montanyans, Montagnans, Montagnano) che venne riconosciuto dal sovrano iberico, per meriti acquisiti sul campo di battaglia ed economici, signore feudale di Cargeghe. Egli avendo acquisito alcuni villaggi del territorio alle porte di Sassari verso la prima metà del XVI secolo venne creato barone della costituenda Baronia di Ploaghe sotto la quale, come già detto, ricadde Cargeghe fino al riscatto dei feudi in epoca sabauda. A Serafino succedette il figlio:
Serafino II de Montañans, 2° barone dopodiché la Baronia passo alla figlia Giovanna la quale sposò:
don Francisco de Castelvì dei visconti di Sanluri e marchesi di Laconi che amministrò la Baronia come 3° barone in vece della moglie. Il loro figlio primogenito:
don Gerolamo de Castelvì y Montañans, agli albori del XVI secolo divenne il nuovo feudatario, 4° barone (1503), segnando il passaggio del feudo dagli estinti Montañans ai potenti Castelvì, che ebbero un ruolo di primo piano in numerose vicende della storia sarda. Senza discendenti maschi diretti il feudo passo alla figlia primogenita:
donna Anna de Castelvì y Flors (Alos), 5ª baronessa (1535), che sposò don Federico di Cardona alla cui morte succedette il figlio primogenito:
don Gerolamo (Geronimo) Folch de Cardona y Castelvì, 6° barone, che avendo avuto un solo figlio maschio:
Lastra tombale nel duomo di Alghero di don Gerolamo (Geronimo)Cardona y de Castelvì 6° barone di Ploaghe e della moglie donna Elena de Alagon (1568)
don Gioacchino Folch de Cardona y de Alagon gli succedette nel feudo ploaghese come 7° barone.
Don Giaocchino non avendo avuto eredi diretti, alla sua morte nel 1590 lasciò il feudo alla moglie donna Caterina de Alagon, ma il Fisco regio pretese la devoluzione del feudo in assenza di eredi diretti.
Contro la pretesa del Fisco fecero opposizione la vedova donna Caterina e altri nobili affini al Cardona suoi parenti. Alla fine, nel 1594, dopo causa al Fisco e successiva transazione tra le parti, venne investito nei feudi:
don Giacomo de Castelvì y Castelvì 4° conte, poi elevato a 1° marchese di Laconi e 8° barone di Ploaghe. Prima voce dello Stamento militare e personaggio di assoluto rilievo della Cagliari tra cinquecento e seicento. Gli succedette il figlio primogenito avuto dalla moglie donna Anna Aymerich:
Don Francisco de Castelvì y Aymerich, 8° visconte di Sanluri, 9° barone di Ploaghe e cavaliere di Santiago (1600). Sposò la vedova donna Caterina de Alagon e in seconde nozze la nobildonna siciliana donna Francesca Lanza y Jueni dei principi di Trabia dalla quale ebbe dieci figli. A ereditare la baronia di Ploaghe come 10° barone fu il figlio secondogenito (essendo il primogenito Giacomo Ottavio morto all'età di due anni):
don Lussorio Antioco de Castelvì y Lanza, (3° marchese di Laconi e 10° signore della baronia di Ploaghe) il quale sposò nel 1631 la cugina di primo grado donna Agostina de Castelvì, ma morì solo pochi mesi dal matrimonio lasciando la vedova in attesa di una figlia che morì poco dopo il parto. Subentrò nei feudi il fratello minore:
don Giovanni Battista de Castelvì y Lanza, (11° barone). Sposò in prime nozze la madrilena donna Isabella de Alagon y Roig figlia di don Ilarione marchese di Villasor, e in seconde nozze donna Francesca Borgia senza avere figli da entrambe. Morì nel 1653 (o nel 1660?) lasciando i feudi a un ulteriore fratello minore:
don Agustin de Castelvì y Lanza (12° barone) indiscusso protagonista della lotta tra fazioni della Sardegna barocca, prima voce dello Stamento militare e secondo alcuni “Padre della Patria” per avere difeso alla Corte di Madrid i privilegi della nobiltà sarda autoctona. Sposò Stefania Giovanna Dexart (Dejar). Nel 1668 venne assassinato da ignoti sicari. Successore fu il figlio:
don Giovanni Francesco de Castelvì y Dexart, 6° marchese di Laconi 13° barone di Ploaghe, grande di Spagna di 1ª classe. Morì senza eredi e si aprì la successione ai feudi che furono assegnati alla nipote
donna Maria Caterina de Castelvì y Sanjust settima marchesa di Laconi e 14ª baronessa di Ploaghe. Morì senza eredi in vita dunque i feudi furono assegnati al nipote:
don Ignazio III Aymerich y Brancifort (1735-1820) 6° conte di Villamar, 13° visconte di Sanluri, 8° marchese di Laconi, 15° barone di Ploaghe, signore di Stunnu, Crastu, Lionesu, Riutortu e Montis de Ledda. Grande di Spagna di 1a classe, prima voce dello Stamento Militare. cavaliere di gran croce dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Sposò donna Maddalena Zatrillas y Manca Guiso. In questo modo i feudi dei Castelvì passarono defintivamente agli Aymerich.
Don Ignazio IV Aymerich y Zatrillas, (1766-1827) ereditò i feudi paterni come 16° barone di Ploaghe. Egli sposò donna Giovanna Ripoll y Nin, dei Marchesi di Neoneli.
Il 10 Luglio 1839 gli furono riscattati i feudi di Laconi, Sanluri e Ploaghe per un valore complessivo di 366.315 lire, corrispondente a una rendita di 18.315 lire annue.
Al di là del titolo baronale tali feudatari mai ebbero modo di risiedere stabilmente (e forse nemmeno visitarono) nel palazzo baronale di Ploaghe oggi non più esistente, e men che meno nei vari villaggi della Baronia dove si facevano rappresentare da procuratori locali.
Solo attraverso questo noioso ma doveroso succedersi di feudatari è possibile comprendere appieno che il blasone raffigurante la clessidra dei Santjust rappresentato nello stemma dell'Amministrazione civica di Cargeghe risulti essere completamente fuori luogo.
Si sarebbe dovuto prendere in considerazione a suo tempo invece il blasone dei Castelvì che per maggiore tempo ressero la Baronia di Ploaghe o magari quello dei Montañans fondatori della stessa oppure ancora quello degli Aymerich che la condussero fino al riscatto dei feudi sardi nel 1839.
Meglio ancora sarebbe, anziché sostituire un blasone nobiliare con un altro, prendere a modello un altro simbolo rappresentante con più efficacia simbolica il territorio cargeghese come ad esempio le caratteristiche e millenarie spirali neolitiche raffigurate in una domus de janas delle campagne del paese.
Raffigurazione delle spirali nella tomba IV a domus de janas della necropoli di S'Èlighe Entosu
Fonti
I feudi di Ploaghe e Cabu Abbas (Giave e Cossoine), Cargeghe e Codrongianus
Castelvì linea dei signori di Sanluri e di Laconi
Laconi. Le epoche feudali e le famiglie nobili