di Giuseppe Ruiu
Via Roma nel tratto di "Sa Piedade" e sulla
sinistra l'edificio del vecchio Municipio
Targa toponomastica comunale
Dettaglio della mappa ottocentesca
Secondo alcuni tale denominazione sarebbe legata ai riti della Settimana Santa, in quanto a Cargeghe anticamente officiava la Confraternita di Santa Croce - della quale si è già scritto in alcuni articoli presenti sul blog - e proprio nel corso di tale periodo vi era l’apice della propria attività religiosa con il suggestivo rito de S’Iscravamentu. Il sito era un passaggio obbligato nel percorso processionale che conduceva dall’Oratorio di Santa Croce alla parrocchiale del paese. "Sa Piedade", la Pietà della Vergine dunque, sarebbe l’interpretazione religiosa del toponimo eternato dalla devozione popolare. Pietà la cui iconografia è stata celebrata dall’artista Michelangelo Buonarroti nella sua mirabile scultura “La pietà vaticana” della fine del XV secolo.
Secondo
un'altra lettura che potremmo definire a tinte fosche (che nel paese
ha diversi adepti) il toponimo deriverebbe
la sua origine dalla presenza in epoca feudale del patibolo per le
esecuzioni capitali: "Sa
furca",
come viene ancora indicata in lingua sarda. La pietà, nello specifico,
sarebbe la clemenza chiesta dai congiunti del condannato ai
funzionari feudali per la commutazione della condanna
all’impiccagione.
Il cortile esterno dell’attuale casa Sanna che costeggia la via Roma in quel tratto, si congettura fosse il luogo deputato a tali “celebrazioni”. Va però fatto rilevare, per quanto se ne sappia, che le esecuzioni dei rei appartenenti alla Baronia di Ploaghe, sotto la cui giurisdizione ricadeva il paese di Cargeghe e i suoi abitanti, venivano eseguite presso il palazzotto della curia baronale a Ploaghe, dove erano presenti le prigioni e la forca. Solo di rado, e per fatti riguardanti gravi reati, quali la lesa maestà ad esempio o omicidi di una certa efferatezza, venivano poste in essere esecuzioni pubbliche sovente ammantante di una solenne e teatrale ritualità, che non si confacevano di certo al tranquillo borgo di Cargeghe.
Il cortile esterno dell’attuale casa Sanna che costeggia la via Roma in quel tratto, si congettura fosse il luogo deputato a tali “celebrazioni”. Va però fatto rilevare, per quanto se ne sappia, che le esecuzioni dei rei appartenenti alla Baronia di Ploaghe, sotto la cui giurisdizione ricadeva il paese di Cargeghe e i suoi abitanti, venivano eseguite presso il palazzotto della curia baronale a Ploaghe, dove erano presenti le prigioni e la forca. Solo di rado, e per fatti riguardanti gravi reati, quali la lesa maestà ad esempio o omicidi di una certa efferatezza, venivano poste in essere esecuzioni pubbliche sovente ammantante di una solenne e teatrale ritualità, che non si confacevano di certo al tranquillo borgo di Cargeghe.
Tali letture popolari pur suggestive nella loro evocazione di riti laici e religiosi di un passato più o meno remoto, ma prive di riscontri documentari a supporto, non soddisfano pienamente la comprensione del toponimo, lasciando dunque spazio alla ricerca di una spiegazione forse più logica e diciamo meno "romantica".
Per l'interpretazione toponomastica, avanzata in questo articolo, è necessario partire da un atto storico concreto: l'istituzione in Sardegna da parte del governo sabaudo, con un
pregone del viceré del 1767, dei Monti Granatici (o Frumentari), per
incoraggiare l'agricoltura attraverso la concessione di grano e orzo
ai contadini in modo da sottrarli
al sistema usuraio praticato dalla nobiltà agraria e dai printzipales. L'evoluzione successiva, nel 1780 in pieno riformismo
sabaudo, si ebbe con i Monti Nummari (dal latino nummus:
moneta) che consentivano, oltre alla concessione di semenze effettuata dai Monti Granatici, anche di sopperire alla cronica carenza
di liquidità monetaria attraverso il finanziamento necessario per
l'acquisto degli attrezzi da lavoro, buoi e in generale di tutto ciò
che era necessario per l'ammodernamento dell'agricoltura sarda
rimasta ancorata ad arcaici schemi e retaggi del passato e sottoposta
ciclicamente a spaventose carestie. Ciò detto, va tenuto presente
che istituzioni non dissimili a sostegno degli agricoltori erano
presenti anche in epoca spagnola.
Si è addirittura in grado di stabilire i fondi granatici e nummari del monte di soccorso cargeghese nell'anno 1793, grazie ai dati raccolti nello studio: «I monti nummari in Sardegna nella prima metà dell'ottocento (1780-1851)» di Daniele Casanova, in «La Sardegna nel Risorgimento», Convegno di Studi, Cagliari, 2011.
In virtù di tali documentazione è possibile avanzare la teoria che il toponimo cargeghese trasse la sua origine dalla presenza in situ del Monte Granatico, "Sa Piedade" (con tutta probabilità ne sorse un altro agli inizi del XX secolo, come lasciano intuire alcuni articoli di cronaca locale, la cui ubicazione è però incerta). L'edificio del primo Monte di Pietà circa un secolo dopo venne adibito a casa municipale (oltre che caserma provvisoria dei Reali carabinieri e prigione: "Su tzippu"), e nel corso del tempo subì ulteriori rimaneggiamenti e sopraelevazioni fino allo stato attuale, che non lo rendono più riconoscibile dal punto di vista architettonico per quanto concerne la sua primigenia funzione, perdendosi così anche il ricordo nella memoria popolare se non per il toponimo che caratterizza quella determinata area.
I Monti
erano amministrati da giunte locali con la supervisione del parroco
sotto la tutela di una giunta diocesana presieduta dal vescovo, fino
ai più alti livelli dell'amministrazione vice-regia che
sovrintendeva, con una giunta cagliaritana, al sistema generale dei
Monti. Nel
corso del tempo i Monti Nummari assunsero la funzione di veri e
propri Monti di Soccorso, o Monti di Pietà, in latino Montis Pietatis, e in lingua sarda “Monte
de Piedade” o semplicemente “Sa
Piedade” ("Monte Granàticu o siat de Piedade"). Ogni centro abitato dell'isola
venne dotato di una struttura edilizia, spesso di pregio
architettonico, destinata a tale funzione. Emblematico è il caso
di Borore dove ancora oggi nel suo centro storico sussiste l'ex Monte
Granatico, oggi casa Delogu, costruito interamente in pietra, e tutelato come bene storico-architettonico, detto “Sa
Piedade”. Tale sistema giunse amministrativamente inalterato, svolgendo la proficua funzione creditizia in agricoltura, fino alla metà del 1800 (tra il 1845 e il 1851) quando tutto il sistema amministrativo, con la necessità del riordinamento, venne svuotato di funzioni operative.
Anche Cargeghe ebbe il suo Monte Granatico, proprio dove oggi sorge l'edificio del vecchio Municipio a "Sa Piedade". La struttura venne edificata probabilmente a cavallo tra i secoli XVIII e XIX. In una cronaca presente nei Quinque libri parrocchiali del 24 settembre 1893 redatta dal parroco cargeghese, teologo Pietro Pilo “Babbai Pilo”, si narra che: «Esistono attualmente le vestigia di tre famosi runachi (sic), uno inerente al Monte di Pietà, ove oggi trovasi la casa del Comune (...)».
Che quella fosse l'area del paese dove sorgeva l'edificio deputato all'ammasso del grano, lo si evince anche da altre fonti edite di metà ottocento, riportate dal canonico Giovanni Spano. Sempre in merito alla presenza di tre nuraghi presenti nel centro abitato di Cargeghe: «A man sinistra dentro il villaggio di Cargeghe si ha per tradizione che n'esistessero tre (nuraghi - nda), i quali furono demoliti per costrurre il monte granatico, la parrocchia e la casa Nurra.». («Memoria sopra i nuraghi di Sardegna», di Giovanni Spano, 1867).
Anche Cargeghe ebbe il suo Monte Granatico, proprio dove oggi sorge l'edificio del vecchio Municipio a "Sa Piedade". La struttura venne edificata probabilmente a cavallo tra i secoli XVIII e XIX. In una cronaca presente nei Quinque libri parrocchiali del 24 settembre 1893 redatta dal parroco cargeghese, teologo Pietro Pilo “Babbai Pilo”, si narra che: «Esistono attualmente le vestigia di tre famosi runachi (sic), uno inerente al Monte di Pietà, ove oggi trovasi la casa del Comune (...)».
Estratto del documento
Che quella fosse l'area del paese dove sorgeva l'edificio deputato all'ammasso del grano, lo si evince anche da altre fonti edite di metà ottocento, riportate dal canonico Giovanni Spano. Sempre in merito alla presenza di tre nuraghi presenti nel centro abitato di Cargeghe: «A man sinistra dentro il villaggio di Cargeghe si ha per tradizione che n'esistessero tre (nuraghi - nda), i quali furono demoliti per costrurre il monte granatico, la parrocchia e la casa Nurra.». («Memoria sopra i nuraghi di Sardegna», di Giovanni Spano, 1867).
Si è addirittura in grado di stabilire i fondi granatici e nummari del monte di soccorso cargeghese nell'anno 1793, grazie ai dati raccolti nello studio: «I monti nummari in Sardegna nella prima metà dell'ottocento (1780-1851)» di Daniele Casanova, in «La Sardegna nel Risorgimento», Convegno di Studi, Cagliari, 2011.
Tabella estratta dallo studio
In virtù di tali documentazione è possibile avanzare la teoria che il toponimo cargeghese trasse la sua origine dalla presenza in situ del Monte Granatico, "Sa Piedade" (con tutta probabilità ne sorse un altro agli inizi del XX secolo, come lasciano intuire alcuni articoli di cronaca locale, la cui ubicazione è però incerta). L'edificio del primo Monte di Pietà circa un secolo dopo venne adibito a casa municipale (oltre che caserma provvisoria dei Reali carabinieri e prigione: "Su tzippu"), e nel corso del tempo subì ulteriori rimaneggiamenti e sopraelevazioni fino allo stato attuale, che non lo rendono più riconoscibile dal punto di vista architettonico per quanto concerne la sua primigenia funzione, perdendosi così anche il ricordo nella memoria popolare se non per il toponimo che caratterizza quella determinata area.