giovedì 17 settembre 2015

L'agglomerato urbano di Cargeghe tra la metà del 1500 e gli inizi del 1600




di Giuseppe Ruiu




Attraverso le fonti d'archivio è possibile delineare, con un certo grado di approssimazione, l'agglomerato urbano di Cargeghe tra la metà del 1500 e gli inizi del 1600.

Tale lasso di tempo fu urbanisticamente importante per il paese poiché dal suo probabile nucleo medievale, compreso tra le odierne vie Roma, Cesare Battisti e Vittorio Emanuele, anticamente denominato: Mesu idda, esso si sviluppò nella metà del 1500 verso la chiesa parrocchiale dei Santi martiri Quirico e Giulitta, e verso la prima metà del 1600 verso l'oratorio di Santa Croce, strutture edificate in tali epoche. Queste nuove addizioni furono probabilmente i più antichi sviluppi urbanistici della Cargeghe medievale, rappresentate dagli unici edifici religiosi - posti in posizione speculare alle opposte periferie del paese – ubicati all'interno dell'odierno centro abitato.

Immagine satellitare tratta da Google
Maps con evidenziata la sezione forse
più antica dell'abitato di Cargeghe.

 Pur ignorando la genesi del villaggio, le indagini archeologiche condotte nel 1988 dalla dottoressa Giuseppina Manca di Mores (Aspetti topografici del territorio di Cargeghe in età romana) indicano in località Santu Pedru e Sant'Episcopio (in realtà trattasi del sito di San Procopio dove si trovava una chiesa oggi non più esistente) territori comunali a valle dell'attuale abitato, l'esistenza di un insediamento di lunga durata fra il II sec. a.C. e il VII d.C. posto intorno alla chiesa romanica di San Pietro, oggi anch'essa non più esistente ma menzionata nel "Condaghe di San Pietro di Silki", e dal canonico Giovanni Spano nel XIX° secolo. Una certa tradizione popolare vuole proprio che n tale sito fosse ubicata l'originaria Carieke. Sempre la medesima tradizione, indica lo spostamento di sede del villaggio verso la metà del 1300 nell'odierno sito collinare che sovrasta la piana sottostante di Campo Mela dove passava la medievale bia Turresa la: a Turris Karalis di epoca romana.

In virtù di ciò è possibile congetturare sulla ragione del cambiamento di sede dettata da ragioni sanitarie - la metà del XIV° secolo vide il propagarsi nel continente europeo e in Sardegna dell'epidemia di peste nera che rase al suolo intere comunità - e di insalubrità del sito soggetto a periodici allagamenti, ma soprattutto da motivazioni difensive e di controllo del territorio circostante, dato che in tale turbolenta epoca l'isola venne funestata da uno stato di guerra permanente tra numerose forze in campo fra cui i primi feudatari del paese: la famiglia dei marchesi Malaspina, il Regno di Sardegna catalano-aragonese, l'altra famiglia di origine ligure dei Doria e l'autoctono Giudicato d'Arborea, a seconda delle circostanze in pace o in conflitto tra essi. Seppur oggi meno evidente, il paese è ubicato in una posizione dalla quale la vista spazia sulla piana sottostante e dalla quale il paese è raggiungibile superando un non indifferente dislivello; ubicazione che induce a considerare anche motivazioni di natura difensiva relativamente alla scelta del nuovo sito da parte dei suoi abitanti.

Tutti i vari contingenti di armati irrompevano infatti nell'alto Logudoro attraverso la valle lungo l'arteria principale e dunque ben visibili dal nuovo sito che consentiva ai suoi abitanti di approntare le difese necessarie o mettersi in salvo per tempo. Nemmeno è possibile escludere che il villaggio fosse costituito "a grappolo", ossia da modesti insediamenti umani posti a breve distanza sul territorio in prossimità di un fulcro comunitario costituito da un edificio di culto.

Il nuovo nucleo medievale, costituito da case a corte o corte comune, non aveva, per quanto è possibile conoscere, un edificio religioso di riferimento, ma probabilmente i riti sacri venivano officiati ancora nella già menzionata parrocchiale di San Pietro. Questo andò avanti probabilmente fino alla metà del XVI° secolo poiché nel corso delle prime visite pastorali dell'arcivescovo turritano Salvatore Alepus nella sua diocesi - negli anni 1553 e 1555 - egli non visitò Cargeghe nonostante avesse ispezionato quasi tutti i centri vicini: Ossi, Florinas, Codrongianos, Ploaghe e Osilo. Ciò potrebbe lasciare intendere che la nuova parrocchiale non era ancora stata edificata o magari ancora in fase costruttiva, dato che i registri parrocchiali della chiesa principiano nell'anno 1569 (e dunque è lecito congetturare che l'edificio, almeno nel suo corpo principale, sia stato edificato posteriormente al 1555 ed entro il 1569, proprio al tempo dell'Alepus). Il primo arcivescovo a compiere una visita pastorale a Cargeghe fu Alfonso De Lorca (Delarca) il 23 aprile del 1598.

La larga via che conduce alla chiesa, con le sue case a schiera a corte retrostante (forse dimore gentilizie abitate dalla nobiltà campagnola cargeghese che si divideva le principali mansioni di rappresentanza feudale: majore, scrivano e obriere), risulta alquanto differente dal punto di vista urbanistico rispetto all'assetto abitativo del nucleo matrice, in un certo qual modo appare più monumentale nella sua ascesa verso il principale edificio di culto. In tutto ciò forse ebbe un ruolo di impulso, se non di committenza, il feudatario del paese, il barone di Ploaghe che all'epoca fu don Gerolamo Folch de Cardona y de Castelvì (discendente dall'antica famiglia magnatizia sassarese dei Montanyans, poi Montanyans y Castelvì, primi baroni del feudo ploaghese entro il quale ricadeva Cargeghe) e la sua consorte donna Elena de Alagon. Numerose sono le testimonianze storiche che evidenziano l'impulso a nuove iniziative edilizie dato dalle gerarchie civili e religiose nel cinquecento, non solo nelle città ma anche nei piccoli centri, avvalendosi di una nutrita ed esperta schiera di lavoratori del settore edile riuniti in corporazioni e gremi.

Immagine satellitare tratta da Google 
Maps con evidenziata la prima espansione 
urbanistica cinquecentesca verso la chiesa
parrocchiale.

Le prime menzioni della parrocchiale cargeghese (sorte forse su un preesitente edificio?) con le sue originarie cappelle tardogotiche sul lato destro della navata, sono del 1569. delle cappelle del transetto rimane invece una consunta iscrizione all'interno della chiesa che rimanda alla loro edificazione nell'anno 1588, avvalorata da una citazione in un legato testamentario presente nei Quinque libri sulla loro elevazione nell'aprile dello stesso anno. In tali cappelle si denota il nuovo stile rinascimentale che si discosta dal tardogotico originario, sintomo questo che le maestranze di picapedrers sassaresi iniziavano ad assimilare gli stilemi portati nell'isola dai gesuiti, insediatisi nella vicina Sassari pochi anni prima. A riprova di quanto asserito, nella cappella a cornu evangelii è collocata una gemma-chiave di volta con il trigramma IHS emblema della Compagnia di Gesù. 

Nei pressi della chiesa, forse sul lato destro dell'ingresso, era presente una tomba dei giganti di epoca nuragica, così come ci viene descritta dal canonico Giovanni Spano nel 1873: "Pietre coniche fisse al suolo in forma di sepoltura di gigante". Tutto intorno alla chiesa era ubicato il cimitero di Santu Chirigu, di frequente citato dalle fonti parrocchiali, il cui portale d'ingresso e la parte alta del paese: "la plaça de la paroquial iglesia" sono ben descritte in un legato del 1739, anche se qui non si intente l'attuale piazza della chiesa ma probabilmente la parte finale dell'attuale via Roma da cui una porta prossima al campanile, il vecchio ingresso, dava accesso alla chiesa. Tutti i ritrovamenti di ossa umane in questa area del paese dovrebbero essere inerenti a tale cimitero che raccolse gran parte dei deceduti, circa 300 individui, dell'epidemia di peste che falcidiò il paese nell'estate del 1652. Tale sito già in epoche più remote dovette essere luogo di sepoltura data anche la presenza di una necropoli in ziro (tombe in giara) descritta sempre dal canonico Spano il quale, per le sue ricerche archeologiche in zona, si avvaleva della collaborazione del rettore di Cargeghe dell'epoca, il teologo osilese Filippo Felice Serra, storico appassionato e proprietario di una cospicua collezione numismatica. 

In tale area, come già accennato, è lecito presumere si concentrassero gli edifici dell'autorità civile e religiosa. Nel sito di Sa Piedade ad esempio, sede del vecchio edificio comunale - in epoca fascista anche prigione: Su tzippu - ma più anticamente tra settecento e ottocento, sorto quale luogo di ammasso del grano, il primo Monte di Pietà (Monte de piedade in lingua sarda). Sappiamo da una cronaca redatta dal rettore Pietro Pilo nel 1893 (nella quale s favoleggia di una immaginifica Tresnuraghes di Cargeghe) che in tale sito sorgesse un nuraghe, all'epoca ancora visibile, ed altro non molto discosto da esso, i cui pochi resti sono ancora oggi osservabili e costituiti da alcuni grossi blocchi in pietra calcarea inseriti in un vicino muro al lato della via Roma. 

Una fonte del 1632, descrive un'abitazione: su istallu de pianu de quexia composta da ben diciannove stanze e un palazzetto: su palateddu, che dovrebbe riferirsi all'attuale casa parrocchiale, ex dimora nobiliare (casa-torre?) contiguo alla parrocchia. Ancora oggi risulta essere l'edificio più grande del paese, e lascerebbe pensare a una sua originaria funzione di rappresentanza feudale... sovente gli edifici di rappresentanza civile e religiosa - i due poteri - erano contigui. Un'altra fonte del 1570 menziona all'interno del villaggio la presenza di un non meglio specificato monastero: su muristere, ma si ignora la sua esatta ubicazione ne tanto meno si conosce l'ordine monastico a cui appartenne poiché tutte le altre fonti storiche tacciono della presenza nel paese di un simile edificio. La stessa fonte cita anche rare abitazioni a più piani (storicamente la casa sarda tradizionale nei piccoli centri era costituita da un solo piano) come: su palatu de mastru Pedru de Fiumen (lo scrivano del paese dell'epoca) e un forno: su furrague.

L'Oratorio di Santa Croce, con il suo annesso cimitero, è di circa un secolo posteriore rispetto alla parrocchiale se prendiamo per buona la datazione del 1630 incisa in una parete all'interno di esso, anche se: S'Obera de Santa Rugue è citata nei registri parrocchiali già dall'anno 1584, così come i confratelli: sos frades de sa regula. Mentre la prima menzione dell'oratorio vero e proprio è dell'anno 1672. Esso probabilmente sorse su impulso della nascente confraternita di Santa Croce, forse ancora priva di una sede appropriata. L'area su cui sorse e in cui si espanse il paese nel XVII° secolo, era denominata come: Su quirriu de Santa Rugue, e ancora oltre un secolo dopo era considerata periferia occidentale del paese, dal quale un sentiero conduceva al vicino villaggio di Muros.

Immagine satellitare tratta da Google 
Maps con evidenziata l'espansione 
urbanistica seicentesca verso
 l'oratorio di Santa Croce.

Il più antico accesso al paese dovette essere quello che saliva dalla piana sottostante di Sa serra, (toponimo da intendersi forse come “strada principale”) passante per il sentiero denominato: Su chercu mannu, e arrivava in prossimità della fonte principale del paese (la seicentesca Funtana de Runache), un tempo collegata direttamente al paese da uno slargo in forte pendio... sempre che questa, come ipotizzato in altro lavoro, fosse la sua collocazione originaria. La medesima strada (con tutta probabilità un diverticulum della, già menzionata, a Turre Karalis) che conduceva verso il paese biforcava verso l'antica chiesa di Santa Maria de Contra: la Sancta Mariae in Contra delle fonti storiche (e da questa un altro sentiero ancora in parte esistente conduceva a quelle di San Pietro e di San Procopio) nei cui pressi era ubicato il piccolo villaggio (o romitorio) di Contra, estintosi precocemente, e mai storicamente indagato.

 Immagine satellitare tratta da Google 
Maps con evidenziati i due edifici 
religiosi del paese posti sul 
medesimo asse.

Molti sentieri, definiti caminos publicos, o pitiracas, circondavano Cargeghe. Alcuni di essi, di antichissima origine, salivano sempre dall'arteria principale verso le colline interne rendendo più agevole il passaggio di pedoni, carri e animali. Tra essi quello denominato di sos Baiolos che conduceva alla periferia del vicino centro di Ossi, così come un sentiero conduceva verso Florinas: su caminu ezzu Fiolinesu, ed altri: «caminos publicos que falan dae sa idda de Cargegue a Sanctu Pedru», come descritto da una fonte seicentesca.

P.S. Per questo lavoro sono stati una preziosa fonte di ispirazione gli studi dell'architetto Marco Cadinu, docente presso l'Università di Cagliari, reperibili al seguente indirizzo:
unica.academia.edu/MarcoCadinu



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