martedì 11 gennaio 2011

L’emiro di Sardaniya Mugâhid al-Amiri, oltre la leggenda*

Giuseppe Ruiu


Indice

Introduzione;

L’origine di Mugâhid;

I regni delle Taifas;

Denia: alla corte di Mugâhid;

Le spedizioni in Sardegna;

La morte;

I figli;

Conclusioni;

Bibliografia;

Corredo fotografico.


Introduzione

Per chi avesse avuto modo di leggere qualsiasi testo, antico o moderno, che tratti di storia sarda, senza dubbio ricorderà che, nei capitoli riguardanti l’affacciarsi alla ribalta storica della Sardegna agli albori del basso medioevo - anno mille -, esso citerà senza dubbio la figura storica dell’emiro musulmano Mugâhid al-Amiri, personaggio sospeso tra storia e leggenda, nebuloso e controverso, vero accentratore di tutte le paure e fobie riguardanti il pericolo musulmano incombente sulle coste sarde in quelle epoche e oltre.

Nel presente lavoro desidero portare a conoscenza dei lettori questa figura così sovente citata ma mai realmente approfondita. Prova ne sia il fatto che altrettanto spesso gli si addossi l’epiteto di “pirata”, quando pirata non fu mai, se non corsaro, ma fu anche tanto altro!

Tale considerazione ritengo risenta della difficoltà, riscontrabile fino ad oggi, di avere un quadro chiaro e preciso dei rapporti – che sicuramente non furono solo conflittuali - intercorsi tra sardi e musulmani, arabi e berberi, in epoca medievale e della loro presenza in Sardegna.

Da poco però, grazie ad indagini archeologiche più specifiche e ad alcuni ritrovamenti sia materiali che di fonti letterarie, si inizia ad avere alcune conferme sui rapporti intercorsi tra questi popoli.

Ad esempio nota è la notizia - tratta da fonti arabe - che nella Sardegna dell’VIII secolo d.C., si pagasse la gizyah, il testatico, la tassa che pagavano cristiani, ebrei e zoroastriani sottomessi agli arabi, che in cambio beneficiavano della loro protezione: la dhimma. Altra interessante notizia (che apprendo dagli studi dello storico Giuseppe Contu) è che in Tunisia, nei pressi di Qairouan (Qayrawan), esisteva nel medioevo una colonia di Sardi cristiani stanziati nella località di Sardaniya (antico nome con il quale gli arabi indicavano la Sardegna, oggi Sardinia) e alleati dei Berberi Botr della tribù dei Nafzawa, il cui primo riferimento è stato rinvenuto in un'opera dello storico al-Bakri (1040-1094), secondo quanto riferisce lo storico arabo Ibn Khaldùn (1332-1406).

È curioso notare che questi berberi Botr fossero pastori transumanti sempre in cerca di pascoli e che Mugâhid stesso commerciasse con la città tunisina di Qairouan non lontano da Sardaniya.

L’origine di Mugâhid

Mugâhid ibn abd Allah al-Amiri al-Muwaffaq nacque probabilmente a Còrdoba tra il 960 e il 975 d.C., comunemente noto come Mugâhid al-Amiri principe – emiro - di Denia (arabo: al-Daniya), comandante della flotta araba nel bacino occidentale del mar Mediterraneo, conosciuto nelle cronache latine come Museto, Mugeto o Mugettus rex. Come vedremo bene in seguito, egli entrò prepotentemente nella storia sarda medievale in maniera, potremmo dire, quasi dirompente per l’epoca.

Per ciò che concerne l’etimologia del nome Mugâhid, la parola araba mujâhid – مجاهد - si traduce con il termine "combattente". Le parole arabe solitamente hanno una radice di tre lettere, e la radice di mujâhid è J-H-D (ج - ه - د) che significa "sforzo" ed è la stessa radice di jihad che significa "lotta", "sforzo". Il mujâhid dunque è in origine colui che combatte o compie uno sforzo. Nei secoli questo termine ha assunto in arabo un significato prettamente militare e religioso, per cui è traducibile come “combattente del jihad” oppure, semplicemente, come patriota (vedi i combattenti mujaheddin afgani).

La componente umana denominata gli Amiridi, era una “dinastia” di Schiavoni attiva nell'età definita dei Reinos de Taifas (in arabo: Mulūk al-Tawā’if). Il nome gli derivò dall'essere stati loro eponimi i “mawali”, ossia liberti, del hajib e reggente del Califfo omaiyyade di al-Andalus (nome con il quale gli arabi denominavano la penisola iberica) Ibn Abi ‘Amir al-Manṣur, noto ai cristiani come Almanzor, “il vittorioso”.

Tra gli Amiridi figura Mugâhid, liberto a sua volta dell'Amiride ‘Abd al-Rahmân Ibn Manṣur che si installò nella costa orientale iberica denominata Šarq al-Andalus o Levante, e in particolare nella città di Denia e nelle isole Baleari.

In generale con il termine schiavone o sclavone, derivato dal greco Σλάβος (slavos) e dal neolatino Sclabo o Sclavo, si indicavano al principio dell'età medievale quelle stirpi di origine e provenienza più o meno diversa tra loro, comunemente identificate nella famiglia slava, che al termine della trasmigrazione dei popoli avevano compiuto devastazioni principalmente nelle Province Romane del Norico, della Pannonia e dell'Illirico, stanziandosi infine nella penisola balcanica. Col passare del tempo il termine cominciò ad assumere anche altri significati, sia parzialmente legati ancora all'indicazione dei popoli slavi, sia in maniera indipendente da questo concetto.

Nell'Impero Ottomano col termine "schiavone" s'identificava quella componente islamizzata ma d'origine slava, italica o anche cazara, resa schiava per motivi bellici o acquistati nei mercati di uomini, che spesso veniva islamizzata (dopo essere stati evirati e resi eunuchi) e avviata al mestiere delle armi, in considerazione della diffusa credenza islamica che le popolazioni caucasiche e turaniche avessero una spiccata indole guerriera.

Nei territori del sud-est della penisola Iberica l’origine etnica di questi liberti (in arabo ﺻﻘﻠﺐ, Ṣaqlab, Saqāliba) era principalmente ispano-visigota dei regni cristiani della Marca Hispanica, dell’Europa ultrapirenaica, franchi, italici e orientali, fatti prigionieri nel corso di combattimenti e per mezzo di incursioni lungo le coste europee dai corsari andalusi.

Fino ad oggi gli storici hanno inteso attribuire a Mugâhid una ipotetica origine slava messa semplicemente in relazione alla primigenia origine del termine schiavone.

Come abbiamo visto però, all’interno di questa particolare componente umana l’origine slava non era preponderante ed infatti alcune fonti andaluse indicano in Mugâhid certamente un discendente di schiavi, ma di origine sarda e non slava!

Maria Jesús Rubiera Mata in Literatura hispanoárabe riporta la notizia tratta da autori arabi: “(…) Muŷāhid, cultísimo militar de origen seguramente sardo, aunque educado en Córdoba (…)” - Mugâhid coltissimo militare di origine sicuramente sarda, quantunque educato a Còrdoba -. Lo storico Roque Chabas (Los mozárabes valencianos), riporta che l’autore arabo Yacut afferma che Mugâhid era di origine cristiana e che non fosse un fervente musulmano, poiché figlio di una cristiana, che accoglieva nella sua compagnia, e che, fatta prigioniera con tutta la famiglia in Sardegna, non volle essere riscattata perché preferì vivere con la gente della sua stessa religione (probabilmente si tratta invece della madre di Alì Ibn Mugâhid primogenito di Mugâhid, anch’esso catturato dai cristiani e rilasciato dopo sette anni).

Dunque si sostiene, con un certo grado di certezza, che la sua famiglia fosse originaria della Sardegna, e che gli eventi e l’abilità personale lo portarono al governo del principato di Denia nella costa valenciana.

I regni delle Taifas

La genesi dei regni delle Taifas si situa nel primo quarto del secolo XI quando la confusione socio-politica di al-Andalus è all’apogeo. I distinti poteri locali che vanno formandosi dai primi anni del secolo XI si consolidano quando si produce la disgregazione del Califfato di Còrdoba come centro del potere politico che fino a quel momento aveva dominato circa trequarti della penisola Iberica.

Le Taifas sono conseguenza della genesi di piccoli regni indipendenti sorti in alcune città del territorio dominato dal Califfato. Gli schiavoni (almeno quelli che non furono incarcerati nei momenti convulsi del disfacimento del Califfato medesimo), che negli anni precedenti ricevettero le simpatie dei califfi ai quali davano supporto contro la nobiltà di sangue discendente dai primi invasori arabi e berberi della penisola, riuscirono a crearsi localmente ambiti di prestigio sociale e politico elevandosi al rango di signori in ognuno di questi piccoli regni. Tra essi Mugâhid, che a Còrdoba aveva fatto parte del corpo di alti funzionari della corte - fityān o fātas - e fu governatore (wali), probabilmente a Denia, nominato dallo stesso Ibn Abi ‘Amir al-Mansur poco prima del disfacimento dello stato califfale. In relazione a ciò nel 1014 Mugâhid istituì la Taifa di Denia; anche se tra gli storici iberici è ancora abbastanza controverso l’anno di arrivo di Mugâhid e del suo seguito di Amiridi in questi luoghi, che comunque si fa risalire a un arco temporale compreso tra il 1009 e il 1014.

Questi regni ricevettero il nome dispregiativo di “taifa”, che significa partito, banda, perché la loro storia la scrissero i nostalgici del Califfato come il grande Ibn Ayyān, e gli scrittori di palazzo dei regni unitari successivi, che vedevano i re di queste entità come una sorta di usurpatori poiché non discendevano dal profeta e non appartenevano alla aristocrazia di sangue, e dunque per queste ragioni non godettero di una legittimazione islamica.

Nel territorio valenciano si ha la formazione di tre distinte Taifas: Balensiya (Valencia), al-Daniya (Denia) e D’Alpont. Esse si distinsero per le continue ribellioni, congiure e sanguinose rappresaglie, ed era tale l’instabilità politica che tra il 1031 e il 1086 modificarono i loro confini numerose volte, guerreggiando costantemente con i vicini più prossimi. La Taifa di Denia comprendeva le città di Orihuela, Alicante, Cocentaina, Elche incluse le isole Baleari e, come vedremo, per pochi anni parte della Sardegna.

Come entità indipendenti, le Taifas, provvidero ad emettere monetazione propria (pare che Mugâhid fu il primo a emettere moneta a Denia), tra le quali denari in oro e argento, riflesso di una economia attiva.

L’emissione monetaria (arabo: sikka) era necessaria per legittimare e formalizzare il potere politico di queste nuove dinastie. Nelle monete si inserivano oltre ai nomi dei sovrani quello delle autorità religiose, gli imām, unica via per l’investitura califfale. Altra legittimazione era quella di esigere la celebrazione della Bay’a, ossia il compromesso di sottomissione della comunità – sia dalla gente principale che da quella più umile - e l’accettazione delle condizioni che regolavano i rapporti tra il potere costituito e i sudditi.

Per quanto riguarda l’apparato militare, gli eserciti di tali entità politiche erano composti principalmente da mercenari, in particolare la Taifa di Denia aveva una nutrita componente di mercenari catalani. Ciò non stupisce perché questi regni erano molto tolleranti sia con gli ebrei che con i cristiani, tanto che a Denia risiedeva una importante colonia di mercanti cristiani che ottenevano assistenza religiosa grazie ad una convenzione (seppure per alcuni storici ancora controversa) tra Mugâhid e il Vescovo di Barcellona Gislaberto, della quale si parlerà meglio in seguito.

Iniziò così un periodo florido per le Taifas ed una conseguente crescita economica dovuta anche alle esperienze in ogni ambito portate da nuovi immigrati in fuga dalla disgregazione del Califfato, tra i quali artigiani, tecnici, funzionari, letterati.

Questo benessere economico portò all’edificazione di nuovi palazzi ad imitazione dello stile ispano-moresco di Còrdoba; se questa città a suo tempo si convertì in una piccola Bagdad, le capitali dei regni delle taifas se convertirono in piccole Córdoba, dove fiorirono la poesia, l’arte, la filosofia, e la scienza. La città di Denia venne maggiormente fortificata e nel suo porto si apportano migliorie atte a sviluppare le attività navali legate al commercio.

Attività commerciale molto intensa, come ovvio, fu quella degli schiavi, frammista a quelle della seta, del lino e della carta; ogni porto mediterraneo, musulmano o cristiano che fosse, era in affari con queste entità politiche.

Questi regni, in generale, non durarono a lungo in considerazione del fatto che la maggiore parte dei suoi governanti erano eunuchi (in quanto ex schiavi islamizzati) e non potevano generare una dinastia. Unica eccezione fu proprio Mugâhid, il quale non essendo un eunuco ebbe degli eredi.

Nello specifico però il loro dissolvimento delle Taifas fu la conseguenza di una serie di ragioni, prima delle quali le guerre intestine, che vide ogni sovrano combattersi reciprocamente per il predominio territoriale, assoldando eserciti cristiani per combattere i propri vicini-nemici o per astenersi dal combattere… fino al 1085, quando una notizia interruppe le loro ostilità: la conquista di Toledo da parte di Alfonso VI di Castiglia e Leon! I sovrani delle taifas, non convinti dalla proposta di Alfonso VI di regnare tutelando entrambe le religioni, commisero un errore determinante chiamando a loro difesa dall’Africa i berberi della dinastia degli Almoravidi, praticanti il fondamentalismo religioso, i quali sconfissero Alfonso VI grazie a una imponente fanteria, ma nel contempo si scandalizzarono davanti ai modi di questi sovrani che parlavano un linguaggio sofisticato che non comprendevano e che non seguivano con rigore il diritto islamico, e dunque decisero di abbatterli.

Denia: alla corte di Mugâhid

La forte espansione economica fece da tramite per la fioritura delle arti e grazie ai viaggi alla Mecca si imitarono i gusti classici dell’Islam.

Mugâhid, che ricevette una educazione palatina alla corte di Còrdoba, fu mecenate di molti intellettuali, scrittori, filologi, matematici, in particolare di alcuni ulema, un gruppo di religiosi ed esegeti Coranici fuggiti da Cordoba e accolti da Mugâhid a Denia, sovvenzionati con borse di studio per dedicarsi al Qira'at, ossia la scuola di lettura coranica che delucidava sulle varianti testuali del Corano. Nell’isola di Maiorca favorì gli studi di due importanti filosofi quali al-Baji e Ibn Ḥazm rinomati nel mondo islamico peninsulare.

Sempre sotto la sua protezione, e favorendo le loro arti, vissero anche a Denia Aamer Abu Ahmad ibn Garcia un intellettuale e poeta, ex schiavo di origine basca resosi famoso per il forte disprezzo per gli arabi nelle sue scritture, ed anche Ḳasṭar Ibn Ishak (o anche Ishak ibn Saḳṭar) grammatico e medico ebreo di Toledo, medico personale di Mugâhid e poi di suo figlio, molto versato nella logica, nella grammatica e nella legge ebraica, che lo portò a confrontarsi con le opinioni di numerosi filosofi.
La cancelleria di Mugâhid mantenne viva la tradizione di scrittura epistolare in prosa rimata, secondo quanto a suo tempo era stato elaborato e perfezionato dalle varie corti arabo-islamiche. Tutto ciò fece di Denia un importante polo di attrazione per artisti e intellettuali dell’epoca.

Narrano le cronache che Mugâhid non fosse particolarmente incline alla poesia e ai poeti – nonostante li accogliesse alla sua corte - ma preferisse filologi, ulema e prosatori - poiché filologo egli stesso - credendo che i poeti non utilizzassero la parola con proprietà. Dinanzi alla figura dell’anziano poeta Ibn Darrāŷ, Mugâhid ascoltò in religioso silenzio quando egli declamò le lodi del sovrano quale intrepido marinaio capace di conquistare con le sue navi le isole Baleari e la Sardegna:

"Naves que son como esferas celestes y donde sus arqueros / son estrellas, armadas de punta en blanco. / Cruzas con ellas los abismos del mar, / y sus olas se fatigan por el peso abrumador".

Quando però i poeti non erano all’altezza di Ibn Darrāŷ, ne faceva oggetto del suo disprezzo. Un giorno gli si presentò davanti il poeta Abū ‘Alī Idrīs ibn al Yamānī di Ibiza – isola famosa per i suoi ginepri - e mentre l’emiro era intento a tirarsi alcuni peli che aveva sulla guancia, il poeta balearino gli recitò nel seguente farraginoso stile:

"Cuántas noches he viajado, preocupado porque conmigo no iba la estrella de la buena suerte; iba acompañado de un grupo de gentes altivas como leones del desierto o serpientes.
Vestían las negras tinieblas, cuando andaban por la noche; se velaban con el resplandor de la mañana, cuando caminaban por el día; caminan al occidente de cada tierra en su oriente, y el oriente de cada tierra es occidente.
El alba está velada y la noche ha tendido su tienda; es como si las deslumbrantes estrellas fuesen un grupo de gente entre los que se levanta la luna como un predicador en el púlpito.
Es como si la luz de la aurora fuese la bandera de un jinete que siguiese un ejército de estrellas. Es como si el rayo del sol fuese el rostro de Muŷāhid cuando ilumina con su resplandor el atardecer".

Quando il poeta terminò il poema, Mugâhid le prese la pergamena sulla quale era scritto, se la portò alla narice, la annusò turandosi le narici con le dita e disse: «Il tuo poema puzza di ginepro». (M. J. Rubiera Mata, La taifa de Denia, Alicante, 1988 (2.ª ed.), pp. 132-134).

Le spedizioni in Sardegna

L’ipotizzata origine sarda di Mugâhid offrirebbe una chiave di lettura molto suggestiva della sua vicenda personale relativa alle spedizioni di conquista della Sardegna. Fino ad oggi questa sua singolare “ossessione” per l’isola, è stata interpretata come una necessità di usare la Sardegna come una base sicura, una sorta di trampolino per assoggettare anche le coste italiche. Tutto ciò risponde al vero, la Sardegna offriva realmente approdi sicuri e vettovagliamento per progettare con più tranquillità l’attacco alla penisola italica, ma non basta a comprendere bene questa brama di possesso dell’isola da parte di Mugâhid, se non nel desiderio di rendersi sovrano della terra che potrebbe avere dato i natali ai suoi avi (genitori?), anche se altre cronache lo danno figlio di un non meglio precisato Yusuf: Mugâhid Ibn Yusuf.

Ripercorriamo ora i suoi tentativi di invasione della Sardegna così come sono riportati dalle fonti, che spesso, tra cronache arabe e latine, si contraddicono vicendevolmente, dicendo chiaramente che le invasioni di Mugâhid non furono semplici incursioni piratesche per razziare e depredare il territorio sardo ma bensì vere e proprie spedizioni militari su vasta scala di occupazione territoriale dell’isola!
Probabilmente nel 1014-1015, anno 406 dell’Egira, organizzò una spedizione di conquista della Sardegna. Dicono le fonti che la sua flotta era imponente e degna di una grande spedizione militare. Contava 120 navi su cui erano stati imbarcati 1.000 cavalli, così come riferisce Ibn al-Khatib.

In base alle interpretazioni di alcuni storici il luogo dello sbarco dell’armata viene indicato alternativamente come il Giudicato di Calari o quello di Oristano, altri invece sostengono, per una serie di ragioni di natura geografica, che fossero più indicati i Giudicato di Torres (Logu de Ore) e Gallura, e in particolare il tratto costiero nord-occidentale raggiungibile attraverso la rotta che dalla penisola iberica porta alla Sardegna attraverso le isole Baleari luogo di partenza della spedizione.

Un tentativo di resistenza venne organizzato, forse anche in maniera improvvisata, da quello che le fonti indicato come il capo dei difensori: Malût, tradotto come Maloto e indicato come il Giudice (Judike), ma come giustamente sostiene lo storico Corrado Zedda nei suoi studi, Malût pare la corruzione del termine arabo “Malik” (o “Mulk”), ossia principe o capo - dei sardi -, dunque potrebbe trattarsi di un Giudice (o di un Signore o re dei sardi, come sostiene Zedda che fa risalire la formazione dei Giudicati a questo periodo storico, per meglio difendere il territorio dopo l’esperienza negativa della spedizione di Mugâhid) ma di certo il suo nome non era Maloto, dato che non c’ è noto un Giudice con tale nome assolutamente incomprensibile per l’onomastica sarda medievale.

I difensori vennero sconfitti lasciando sul campo il loro capo Malût, e probabilmente il Giudicato si trovò in un pericoloso vuoto di potere.

Le fonti narrano che la notizia arrivò fino ai capi dei Rum (così gli arabi denominavano gli europei cristiani), forse il Papa e le marinerie di Pisa e Genova, che allestita una flotta fecero rotta verso la Sardegna e ingaggiarono battaglia contro i musulmani che furono sconfitti perdendo alcune navi e lasciando nelle mani dei cristiani un fratello (o una compagna cristiana) e il figlio dell’emiro, Ali ibn Mugâhid, conosciuto in seguito come Ali Iqbal al-Dawla (avuto da una cristiana) che alla morte del padre nel 1044/45 prenderà il suo posto, dopo alcune traversie legate alla successione, nella guida dell’emirato di Denia.

Un’altra versione racconta invece che Mugâhid prese possesso della gran parte della Sardegna espugnandone le fortezze, ma che al sopraggiungere della flotta cristiana nel tentativo di fuggire, la sua armata rimase bloccata in un golfo, o porto, dove un forte vento sbaragliò la sua flotta facendo naufragare molte sue navi sugli scogli di un’isola chiamata dagli arabi Giazirat Ash-shunda (isola dei martiri) indicata da alcuni come l’isola di Mortorio in Gallura. I musulmani superstiti fecero vela verso Denia abbandonando la Sardegna.

Una terza fonte, araba, sostiene che Mugâhid ritornò con una sua flotta ad invadere la Sardegna e ne occupò la maggiore parte per sette anni dal 1018/19 al 1025/26 (dal 409 al 416 dell’Egira), stabilendosi e riedificando una antica città sarda, ritirandosi in seguito non perché ne fu cacciato ma probabilmente per la malaria che infestava quei luoghi. Successivamente i sardi demolirono la sua città che al tempo della cronaca era già in rovina.

Se fosse reale lo sbarco delle spedizioni musulmane lungo la costa nord-occidentale della Sardegna, Turres, l’antica Turris Libysonis, potrebbe essere stata l’antica città citata dalle fonti e occupata da Mugâhid? La quale divenne la sua nuova reggia e da qui si organizzò immediatamente per puntare dapprima alla conquista dell'isola intera e poi lanciarsi eventualmente alla conquista del tratto tirrenico della penisola italica.

A questo proposito, giusto come spunto di riflessione, a Porto Torres nel sito dove presumibilmente era collocata l’antica città di Turris Libysonis, esistono le antiche terme Metzkae. I grandiosi resti monumentali, ancora in gran parte da mettere in luce, appartengono ad un complesso termale a carattere pubblico databile, in base ai mosaici ed alla tecnica edilizia, all'inizio del III - fine del IV sec. d.C. Le imponenti emergenze sono rimaste sempre visibili nei secoli, stimolando la fantasia popolare che le interpretò come le rovine del palazzo di Re Barbaro che, secondo la tradizione, condannò a morte il martire Gavino. Le terme centrali - Palazzo di Re Barbaro - sorgono principalmente nell'area destinata al Parco Archeologico ed occupano un isolato delimitato da porzioni di strade urbane pavimentate con lastre di trachite.

È possibile che questo “Re Barbaro” sia stato invece Mugâhid e non un fantomatico governatore romano di nome Barbarus? La fantasia popolare potrebbe conservare il ricordo di un Re musulmano (barbaro, appunto, per i sardi dell’epoca) degli albori del medioevo, insediatosi in quelle antiche terme? Secondo una certa tradizione Mugâhid stesso si sarebbe fatto incoronare Re di Sardegna, il primo e unico sovrano sardo musulmano! Allo stato però non risulta che in nessuna delle indagini archeologiche portate avanti in questi anni in loco, sia mai emerso niente che possa essere accostato o ricondotto a una presenza islamica.

Alghero a sua volta potrebbe essere stata un presidio militare organizzato da Mugâhid lungo la costa nord-occidentale? A questo proposito Bisogna fare alcune considerazioni sul nome e l’etimologia di questa città.

I primi documenti in latino che parlano di Alghero riportano il nome: Locus seu villa de Alguerio, civitas et villa Alguerii, e in catalano: lloch, villa de l'Alguer (pronuncia: L’Alghè). Pare che il nome al tempo dell’insediamento de Doria fosse “La Ligera” e dunque potrebbe essere stato qualcosa di simile a “La Liguera”, “La Ligure”, toponimo corrottosi nel tempo e dal quale potrebbe essere derivato l’attuale Alghero. “La Ligure” dunque, poiché fondata (o rifondata) da genovesi della Liguria, il cui nome deriva dall’antica popolazione dei liguri in greco Λιγυες (Ligues) e in latino Ligyes, Ligures.

Altrettanti dubbi sorgono sull’etimologia del nome del borgo, perché difficilmente è accostabile al nome dell'alga marina che si deposita in gran numero sulle spiagge algheresi, seppure nella denominazione sardo-logudorese “S'Alighera” sembra richiamare il nome dell’algha, ma a ben vedere la pronuncia sarda sembra suonare talvolta come “Sa Lighera”, in cui il riferimento all'alga si dissolve completamente.

Il toponimo potrebbe derivare altresì dall’arabo “al-Giazir” con significato di “porto con un'isola”, com'è appunto Alghero, similmente ad altri nomi di porti mediterranei quali Algeri e Algeciras di fondazione musulmana. Oppure sempre dall’arabo “al-Ghar” (la fortezza, il castello). Ciò premesso, quasi nessuno prende in considerazione la possibile origine araba del nome di Alghero, anzi viene piuttosto reputata fantasiosa, ma io credo invece che abbia una sua credibilità, e se realmente il presidio militare di Mugâhid fosse stato eretto in questa zona, magari su precedenti strutture o riadattando e fortificando un borgo già esistente in un luogo già abitato da epoche antichissime, non stupirebbe il nome attribuitogli quale porto naturale con un’isola, e che in seguito alla cacciata dei musulmani venne ripopolato da cristiani alterandone così il nome.

Altro presidio militare di Mugâhid potrebbe essere stato la fortezza del Castellaccio dell’Asinara, unica fortezza mediterranea che porta ancora il nome di uno dei suoi più noti possessori, il cinquecentesco corsaro musulmano Khayr ed-Din Barbarossa.

Di essa non si conosce l’esatta origine, alcune indagini archeologiche ne attribuiscono l’edificazione ai catalani nel XIV secolo d. C., altri ai Malaspina, altri ai Doria. Nulla vieta pensare che il fortilizio potrebbe essere stato riedificato riadattando precedenti strutture in rovina, e non stupirebbe che Mugâhid l’avesse eretto per controllare il tratto marino che separa l’isola dell’Asinara dalla Sardegna, ed eventualmente segnalare l’avvicinamento di vascelli, lo stesso motivo per il quale venne occupato nel XVI secolo d. C. dai turchi di Barbarossa. Questa particolare predisposizione al controllo attualmente fa del Castellaccio una postazione per la vedetta antincendi, e i visitatori possono accedervi solo con la guide dell'Ente Parco.

La morte

Le fonti riportano che Mugâhid morì, probabilmente a Denia, nell’anno 406 dell’Egira, il 1044/45 d.C., dopo avere governato per circa trenta anni (l’autore arabo - Ibn ‘Idari - indica in trentasei gli anni di regno fa risalire la fondazione della Taifa al 1009/1010). È facile supporre che morì di vecchiaia dato che era quasi ottuagenario. Stupisce davvero che abbia potuto raggiungere una così veneranda età per l’epoca, dopo una esistenza trascorsa a percorrere il Mediterraneo, e a condurre il suo regno attraverso numerose battaglie.

Le cronache latine hanno romanzato grandemente sulla sua morte, facendo credere che i cristiani abbiano avuto l’onore di porre fine all’esistenza dell’emiro, ma probabilmente non fu così poiché Mugâhid riuscì sempre a ritornare a Denia dopo le sue spedizioni marine. La cronica pisana (ma anche le false Carte d’Arborea trattarono l’argomento) favoleggiando su Mugâhid, raccontano che nel corso di una epica battaglia la su flotta venne sbaragliata e l’emiro, alla mercé dei cristiani, venne trafitto, ucciso e infine decapitato da un sardo. La sua testa venne issata nell’albero maestro dell’ammiraglia della flotta sarda che, preso il largo, venne gettata in mare aperto.

I figli

Come è stato già accennato Mugâhid non era un eunuco e dunque generò dei figli.
Il primogenito Alì Ibn Muyahid Iqbal al-Dawla, di madre cristiana, e il secondogenito di differente madre Hasan, identificato come Laqab Sa‘d al-Dawla. Le fonti iberiche ci parlano anche di due figlie, sorelle uterine del secondogenito Hasan. Di esse non si conosce il nome, ma si sa che entrambe, nel gioco delle alleanze tra regni, andarono in spose una alla corte di Valencia, mentre l’altra, che le fonti identificano come la Principessa di Denia e delle Baleari nata verso il 1019, alla corte di Siviglia dove sposò Muhammad II, Abu Al-Mu'tadid, re di Siviglia (Siviglia 1014–1086). Il loro figlio, nipote di Mugâhid, Muhammad III (Abu l'Kasim) Al-Mu'tamid, re di Siviglia (Siviglia 1040–1095), ebbe a sua volta una figlia di nome Zaida (Maria Isabel) Principessa di Denia (1071–1103) che andò in sposa addirittura al conquistatore di Toledo Alfonso VI "Il Valente" re cristiano di Castiglia, Leon e Galizia (Burgos 1040 circa–Toledo 1109).

In base alle regole dinastiche il primogenito succedeva al padre nella guida del regno, sennonché Alì fu catturato durante la spedizione in Sardegna del 1015, anno 406 dell’Egira, e riscattato dopo circa sette anni quando aveva circa sedici o diciassette anni, pare dopo avere trascorso l’esilio presso la corte dell’imperatore del Sacro Romano Impero germanico. In virtù di ciò in prima istanza Mugâhid designò alla sua successione il secondogenito Hasan (secondo Ibn ‘Idāri), una volta però riscattato il primogenito pare che Mugâhid li associasse entrambi al trono ma con una predilezione per il primogenito Alì, scatenando così la reazione di Hasan. Il quale, all’atto della rottura della compartecipazione al trono, ottenne l’appoggio del cognato Muhammad II re di Siviglia per assassinare il fratellastro Alì reputato dinasticamente inferiore probabilmente perché figlio di una cristiana.

Il tentativo di assassinio di Alì avvenne in un vicolo mentre questi rientrava da guardare il mare, ma fallì (vi sono narrazioni differenti su questo avvenimento). In virtù di ciò, frustrato dal mancato attentato, Hasan fuggì da Denia e si rifugiò presso l’altra sorella alla corte di Valencia. Con l’allontanamento forzato di Hasan e dopo la morte di Mugâhid, Alì poté dunque consolidare il suo potere a Denia, e sempre nel solco delle alleanze tra regni sposò una regina del regno di Saragozza dalla quale ebbe un figlio di nome Muhammad Ibn ‘Ali Ibn Mugâhid (Muhammad Mu‘izz al-Dawla) che in seguito associò al trono, ma che non ebbe la possibilità di succedere pienamente al padre poiché Alì successivamente, verso il 1075/76, venne assassinato per ordine del suocero Abd Allah al-Muqtadir re di Saragozza della dinastia dei Banu Hud, che così usurpò il potere della Taifa di Denia retto dalla dinastia di Mugâhid.

Come Mugâhid anche Alì fu amante delle arti, cosa che comunque contraddistinse quasi tutti i sovrani di al-Andalus, e più del padre, come abbiamo visto spesso critico con i poeti, della poesia. Ibn al-Labbāna ne fu il maggiore rappresentate, ma anche Idris Ibn al-Sabbini delle Baleari, e altri intellettuali come il filosofo, scienziato, medico, botanico e musicologo Abū-l-alt (1067-1134) nativo di Denia.

Il periodo di regno di Alì si contraddistinse per una politica di patti di non belligeranza con i regni cristiani, tra cui Pisa e Genova, in modo che i commerci nel Mediterraneo si potessero sviluppare senza troppe difficoltà. Una fonte (libro dei conti di Nahray b. Nissim per l'anno 1044/45) cita un naviglio denominato “Markab Mujahid” approdato ad Alessandria d’Egitto da Denia. Altri cronisti affermano che Ibn Mujahid inviò in Egitto un carico di cibo durante una grave carestia.

Dando corso alla precedente convenzione del padre con il vescovo di Barcellona, si sostiene che Alì in segno di amicizia abbia messo le isole Baleari e Denia, data la numerosa presenza di cristiani, sotto la giurisdizione del vescovo di Barcellona Gislaberto. Riporta Roque Chabas (Los mozárabes valencianos) che una copia di un documento conservato nel cartulario della cattedrale di Barcellona riporta la notizia che: « Omnes Ecclesias et Episcopatum Regni nostri, quæ sunt in insulis Balearibus et in urbe Denia (…) ut omnes clerici, Presbiteri et Diaconi in locis preæfatis commorantes... minime conentur deposcere ab aliquo Pontificum ullius ordinationem clericatus, neque chrismatis sacri confectionem, neque cultum aliquem ullius clericatus, nisi ab Episcopo Barchinonensi».

Conclusioni

La storia affascinante di Mugâhid nei secoli ha alimentato leggende, ha subito le faziosità delle cronache degli avversari cristiani e ha beneficiato di fonti inaffidabili, rimaneggiate magari da cronisti musulmani per aumentarne la fama. Alcune leggende gli attribuiscono addirittura l'invenzione dei disegni arabescati, usati per riconoscere i gradi militari sul bavero della giubba, e l'invenzione degli alamari, il cui nome, ritengo però erroneamente, deriverebbe da Mugâhid al-Amiri.

Comunque sia fu senza dubbio un ottimo ammiraglio, capace comandante e astuto stratega militare. Non solo un combattente, ma anche un sovrano illuminato, un mecenate, che con la sua politico riuscì in un’abile opera per garantirsi il dominio a Al-Andalus e imporre per anni la forza dell’Islam nel Mediterraneo occidentale.

Per concludere, questa mio lavoro si basa esclusivamente su alcuni studi specifici di storici - principalmente iberici che si rifanno a fonti andaluse -, corredata da alcune mie supposizioni. Come ovvio, non ha alcuna pretesa se non quella, come detto nell’incipit, di portare a maggiore conoscenza dei lettori questa affascinante figura storica.

Bibliografia

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Corredo fotografico


Muyahid al-Muwaffaq. Frazione di dinaro. Taifa di Denia. 1043-1044.
Museo di Preistoria di Valencia.



Dinaro dell’XI secolo emesso nel regno taifa di Denia.


Porto Torres: Palazzo di Re Barbaro, corpo centrale delle terme.


Isola dell’Asinara: il Castellaccio o Castello di Barbarossa.


Denia: il Castello risalente all’XI secolo. Foto d’epoca.


Taifa di Denia.


La taifa di Denia e il mediterraneo nel secolo XI (Rafael Azuar Ruiz, La taifa de Denia en el commercio mediterráneo del siglo XI).


Rapporti conviviali tra musulmani e cristiani a al-Andalus.


Emiro musulmano.
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2 commenti:

  1. Ciao Giuseppe, sono Graziano Fois.
    Complimenti per l'articolo. Ti segnalo un refuso dove scrivi "Una terza fonte, araba, sostiene che Mugâhid ritornò con una sua flotta ad invadere la Sardegna e ne occupò la maggiore parte per sette anni dal 1118/19 al 1125/26 (dal 409 al 416 dell’Egira)". Ovviamente si tratta di 1018/19 e di 1025/26. Ciao

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  2. Ti ringrazio Graziano, mi fa davvero piacere che ti sia piaciuto l'articolo! Grazie anche per la segnalazione del refuso... mi era proprio sfuggito!

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