di Giuseppe Ruiu
Napoli ha una lunga e ricca storia nell'artigianato, dove la manualità, la creatività e la maestria si combinano per creare prodotti di elevato valore estetico. L'artigianato artistico napoletano si è sempre distinto per l'ideazione e la realizzazione di opere che riflettono la storia, i modelli e gli stili del patrimonio culturale della città. Settori di eccellenza includono la ceramica, la scultura in legno e terracotta, le tarsie e le lavorazioni orafe.
Il termine “Scuola napoletana” è stato coniato per indicare gruppi di artisti e artigiani riuniti attorno a un maestro o a un'idea, come la scuola pittorica di Posillipo, che si dedicava alla pittura di paesaggio. Molti di essi emigrarono dalla città natia alla ricerca di nuovi spazi e committenze e alcuni trovarono una nuova casa in Sardegna. Sovente maestri e artigiani definiti genericamente di provenienza napoletana avevano in realtà origini in tutto il sud Italia incluso nel Regno di Napoli.
Giunto dalla città di Sassari, il maestro napoletano “neapolitano” Lorenzo (de) Rosas di Andrea prese dimora in Cargeghe nell'anno 1742. Egli fu il capostipite di una piccola comunità - se così può essere definita – di artigiani napoletani dimoranti nel paese logudorese.
Il maestro artigiano era in realtà nativo del paese di Rivello (PZ) in Basilicata, nel XVIII secolo libero comune lucano del Regno di Napoli e famoso per una fiorente attività di artigianato orafo e del rame, anche in ambito sacro che persiste ancora oggi. www.talentilucani.it/
Lorenzo (de) Rosas contrasse matrimonio a Cargeghe il 22 ottobre del 1742 con la cargeghese Giovanna Maria Vigueri (Vigheri) figlia del sassarese Antonio Vigueri. La coppia ebbe dei figli di nome Salvatore, Antonio Andrea e Maria.
Salvatore Rosas, così come descritto nel registro parrocchiale dei Morti, il 23 luglio del 1785 all'età di trentatré anni perì di morte violenta venendo seppellito all'interno della chiesa parrocchiale dei Santi Quirico e Giulitta. L'altro figlio Antonio Andrea sposò sempre a Cargeghe nel 1792 Maria Antonia Pinna di Ossi. La figlia Maria invece - come diremo in seguito - sposerà un conterraneo del padre.
Solo pochi anni dopo un altro probabile artigiano napoletano “Neapolis civitatis” giunse a Cargeghe: Giovan Battista Mangolfa (Mansolfa), o più probabilmente Mangiolfi dato che tale cognome è ancora attestato sempre a Rivello e rappresenta una delle ultime famiglie di ramai.
Nel 1749 si celebrò il suo matrimonio con la cargeghese Brigita Martis. Anch'essi ebbero dei figli tra cui un Giuseppe deceduto nel 1781 all'età di ventinove anni.
Circa un trentennio dopo un'altra persona che i registri definiscono “Napulitalensis”: Giuseppe Machota (Macciotta) sposò a Cargeghe nel 1779 la cargeghese Maddalena Oppia Marongiu.
Un ulteriore rivellese “civitatis Rivellensis ex Regno Napolitano” Nicolò Petronella (Minelli) giunse a Cargeghe nel 1780 per sposare la cargeghese Maria Rosas, come detto, figlia del fu maestro Lorenzo Rosas. La coppia ebbe alcuni figli tra cui Lorenzo, Lorenzo Francesco e Modesto Luigi, i primi due morti prematuramente.
Altri artigiani provenienti da Sassari presero dimora e si coniugarono a Cargeghe sempre nella metà nel XVIII secolo, tra essi vi furono: Filippo Bonaventura e Francesco “Chichu” Ayraldo.
È possibile congetturare che alcuni di essi possano avere preso parte alla costruzione o rimaneggiamento del gruppo scultoreo sei-settecentesco dei simulacri dei Santi patroni cargeghesi Quirico e Giulitta, definiti nel Catalogo generale dei Beni Culturali: «(...) opere di metà Seicento e la loro posizione allungata indica l'ascendenza da modelli napoletani. (…) Le statue sono nominate in un inventario della parrocchia del 1747.» Catalogo Beni culturali.
Nessun commento:
Posta un commento