venerdì 22 maggio 2015

San Procopio di Cargeghe, ipotesi sull'ubicazione della chiesa rurale


di Giuseppe Ruiu



Nella memoria tradizionale cargeghese non rimane il benché minimo ricordo della chiesa rurale di San Procopio poiché con molta probabilità fu già ridotta allo stato di rudere verso la metà del XVIII° secolo. 
Le uniche notizie relative a tale edificio sacro sono quelle contenute nei registri parrocchiali tra la fine del XVI° secolo e la prima metà del secolo successivo.

Nel legato di Magdalena de Fiumen del 4 novembre 1591, la chiesa viene menzionata per la prima volta: 
Ittem queret que su mesu desa tribuna de Stu Procopiu siat fata subra su sou.” Item vuole che la metà della tribuna di San Procopio sia fatta sopra il suo. (Quinque libri, registro dei battesimi n. 1, foglio 122/69)

Tale documento ci comunica l'interessante notizia che alla chiesa stava per essere aggiunta una tribuna. Il termine tribuna in ambito ecclesiastico significa l'ambone, il pulpito che serve per la lettura dei testi sacri, per le prediche, e qualche volta per il canto. Con “tribuna” si indica anche il coro o presbiterio delle antiche basiliche, cioè lo spazio dietro l'altare maggiore, generalmente absidato e spesso sopraelevato. 

In altra registrazione di pochi anni posteriore si apprende che la chiesa necessitava di lavori (di ampliamento?) - faguere fabricu - e si dava disposizione che si pagasse la giornata di un maestro muratore.

Legato di Brancaziu Mula del 19 settembre 1595:
Asa ecclesia de Santu Precopiu ecclesia rorale de ditta villa cando li faguere fabricu una jornada de unu mastru et (medrigadu?) overu (?) degue soddos.” Alla chiesa di San Procopio chiesa rurale di questa villa quando faranno lavori una giornata di un maestro e (medrigadu?) ovvero (?) dieci soldi. (Quinque libri, registro dei battesimi n. 1, foglio 43d).

Probabilmente i lavori di ristrutturazione non erano ancora conclusi se solo un anno dopo Ambrosu Solinas lasciò 10 soldi e altri fondi per incalcinare l'edificio.

Legato di Ambrosu Solinas, 11 luglio 1596:
(...) et a Santu Procopiu 10 soddos (...). Ittem lassat qui subra sos benes suos siat inquarquinada sa ecclesia de Santu Procopiu (?).” E a san Procopio 10 soldi (...). Item lascia che sopra i suoi beni sia incalcinata la chiesa di San Procopio. (Quinque libri, registro dei battesimi n. 1, foglio 71/24/3).

In una registrazione del XVII° secolo ritroviamo una sua menzione inerente il lascito di terreni forse confinanti a quelli dell'Opera della chiesa.

Legato di Priamu Pinna, 18 marzo 1624:
Ittem testamos, lassamos, querimos et cumandamos (?) et sanima nostra apusti seguida sa morte de ambos de noi atteros a sobera de Santu Procopiu ecclesia rurale de sa presente villa totu cuddas terras nostras qui tenimos et possedimos in territorios de sa presente villa in su logu naradu valle pedrosa, ditas terras querimos qui semper et quando las quergia (umpire?) sos oberajos acontu et profetu dita obera qui las (umpan?) a sa bonora et (?) si non la querrenen (umpire?) querimos qui ditas terras si vendan a su (?) resulta de ditas terras si carriguen a sensale in logu seguru, et desa pensione si pagat a reparare dogni anu sa predita ecclesia (?) esser custa sa ultima voluntade nostra (qui?) querimos.”
Item testiamo, lasciamo, vogliamo e comandiamo (?) e l'anima nostra dopo seguita la morte di entrambi noi altri all'opera di San Procopio chiesa rurale della presente villa tutte quelle terre nostre che teniamo e possediamo nei territori della presente villa nel luogo detto Valle pedrosa(1), dette terre vogliamo che sempre e quando le voglia (?) gli operai a conto e profitto di detta opera che le (?) alla buonora e (?) se non le vogliono (?) vogliamo che dette terre si vendano al (?) risulta di dette terre si carichino a sensale in luogo sicuro, e della pensione si paghi per riparare ogni anno la predetta chiesa (?) essere questa l'ultima nostra volontà che vogliamo. (Quinque libri, registro dei battesimi n. 1, foglio 80b/32b).

Non vengono riscontrate ulteriori registrazioni posteriori che menzionano la chiesa, e ciò lascerebbe presumere che si avviò un processo di degrado delle strutture e rimozione dalla memoria collettiva.

Nel libro di amministrazione della parrocchia SS MM Quirico e Giulitta della seconda metà del XVIII° secolo si menziona il sito di Santu Precòpiu o Procòpiu, indicando la sua ubicazione nella Vidassoni de Campu de Mela, un'area posta nella piana a valle del paese, confinante con altro sito denominato Coa de Molino.
In virtù di tali "coordinate" è stato possibile individuare l'odierna area corrispondente all'agiotoponimo settecentesco oggi caduto in disuso. In tale luogo era probabilmente ubicato l'edificio di culto, forse all'epoca, come accennato, già in stato di rudere. L'area da sempre è sottoposta a lavori agricoli e dunque in situ non si rilevano tracce di un antico edificio. 


Il sito su Google Street View

La medesima area venne archeologicamente investigata dalle dott.sse Giuseppina Manca di Mores e Tiziana Bruschi alla fine degli anni '90 del secolo scorso. Tale sito però nello studio pubblicato alla fine dei lavori(2) venne indicato con il toponimo di S. Episcopio (al momento si ignora da dove sia stato attinto) e non con quello corretto di Santu Procòpiu. Anch'esso, insieme al sito di Santu Pedruseparati da una strada – fu probabilmente inerente al villaggio di Cariekela Cargeghe medievale, nella cui area lo studio in questione ha evidenziato una vastissima area di frammenti ceramici che coprono un arco cronologico compreso almeno fra il II secolo a.C. e il VII d.C. da riferire ad un insediamento di lunga durata. Congetturando è ipotizzabile che le chiese di Santu Pedru e Santu Procòpiu appartenessero al medievale villaggio di Carieke, che in data imprecisata ma verso la metà del XIV° secolo spostò la sua sede originaria nell'attuale sito. 

Sempre in tale area si trovano i ruderi di un antico mulino idraulico: “(...) L’opificio è presente presso la sponda destra del Rio di S. Pietro, con il quale risulta idraulicamente collegato tramite una corta derivazione. (…) Dell’edificio a pianta a L regolare rimangono le mura perimetrali, pressoché per tutta la loro elevazione, del prospetto retrostante, quelle laterali, nonché gran parte della spessa parete di divisione in due unità distinte. Manca il prospetto frontale. La struttura muraria della parte basale è in pietrame e conci sbozzati, di varia misura, di natura prevalentemente calcarenitica, disposti talora in maniera occasionale talora in corsi sub-orizzontali. Verso l’alto i conci sono di dimensioni e natura più omogenea e con disposizione più regolare. Il tetto, come si denota dal profilo delle murature, era a doppia falda per entrambe le unità.”(3)

Parte dei materiali utilizzati per l'edificazione del mulino ottocentesco potrebbero provenire dai ruderi della vicina chiesa? Solo una supposizione.

Il mulino idraulico ottocentesco



Labili tracce della chiesa “scomparsa” e del culto del martire si ritrovano in altre chiese del paese. All'interno dell'Oratorio di Santa Croce ad esempio, vi sono due porzioni di cornice con incisa una datazione e una iscrizione, presumibilmente seicentesche, ad oggi ancora inedite, che potrebbero essere ricondotte, almeno la seconda, alla chiesa in esame ed inseguito ricollocate quali elementi decorativi all'interno dell'Oratorio. La prima cornice posta nella parete destra, porta incisa la data del 1630, ma non è possibile comprendere se sia l'anno indicante l'edificazione dell'Oratorio, o un elemento importato e inglobato nella muratura.
La seconda cornice collocata nella parete opposta reca incisa invece una parziale iscrizione con segni di interpunzione, la quale recita:

· P · MAR · PORC · O ·

che potrebbe essere interpretata nella maniera seguente:

· P[RO?] · MAR[TYRIS] · PORC[OPIUS] · O[PUS] ·


Forse una iscrizione relativa ad importanti lavori eseguiti all'interno della chiesa rurale e che in seguito al suo decadimento vennero asportati parte dei materiali e ricollocati nell'Oratorio in data imprecisata. Il Porc[opius] dell'iscrizione potrebbe essere l'esito per metatesi di Procopius.

 L'iscrizione all'interno dell'Oratorio di S. Croce

"Anno 1630", sempre all'interno dell'Oratorio

All'interno della parrocchiale del paese, in una delle cappelle tardogotiche laterali, trovasi un dipinto del quale si possiedono rare notizie, forse eseguito alla fine del XVI° secolo, c'è chi dice dalla bottega di Baccio Gorini, o da tal Marco Antonio Maderno pittore pavese presente in quell'epoca a Cargeghe, come già accennato in altro lavoro(4). L'opera “Madonna in trono e Santi” dove vengono ritratti tra le altre figure, due martiri dei quali quello sul lato destro del dipinto potrebbe ricondurre al martire Procopio poiché rappresentato con ai piedi elmo, scudo e spada e dunque effigiato come un martire guerriero del tutto simile alla iconografia conosciuta di san Procopio.

Dipinto Madonna in trono e Santi, fine XVI° sec. circa

San Procopio di Cesarea di Palestina nativo di Aelia (Gerusalemme) nato nel terzo secolo e morto l'8 luglio 303. È il primo cristiano deceduto per la sua fede in Palestina negli anni che seguirono il decreto di persecuzione di Diocleziano del 303.
Procopio fu condotto davanti al tribunale del governatore dove gli fu chiesto di sacrificare agli dei, ma si rifiutò, allora fu invitato a fare delle libagioni ai quattro imperatori, ma ancora una volta egli rispose, citando un motto di Omero «Non è bene che vi sia un governo di molti; uno sia il capo, uno il re». Fu una risposta poco gradita ai suoi giudici, che lo uccisero. Procopio si era stabilito a Scitopoli, dove espletava tre funzioni: lettore, interprete in lingua siriana ed esorcista. Fin dall'adolescenza si era votato alla castità e alla pratica delle virtù, con severi digiuni e dedito all'ascesi; se nelle scienze profane era di cultura mediocre, era invece la Parola di Dio il suo unico argomento di studio. A Scitopoli gli fu eretta una cappella nel vescovado; a Cesarea di Palestina, luogo del suo martirio, venne eretta in suo onore una chiesa. (Avvenire). Etimologia: Procopio = che promuove, dal greco. Emblema: Palma(5).

 San Procopio Martire



Per concludere, nella ex curatoria di Figulinas, della quale Cargeghe fece parte, vi fu un'altra chiesa dedicata al martire Procopio.
Le fonti storiche menzionano un edificio di culto appartenente all'ordine monastico dei Vallombrosani nel villaggio di Silode o Selodes(6) a tutt'oggi non ancora precisamente individuato ma che uno studioso della materia, il ben documentato prof. Giovanni Deriu, attribuisce ad una errata trascrizione di Bedas, villaggio estintosi definitivamente per la peste barocca del 1652, posto nei pressi delle antiche fonti di San Martino, oggi a confine tra i territori comunali di Cargeghe e Codrongianos.


Note

1 - Probabilmente lo stesso sito conosciuto oggi come Sa pedrosa.


3 – Tratto dalla ricerca on line: Mulini di Sardegna a cura di Giuseppe Piras.


5 - Tratto da "Santi e Beati" che fornisce un ulteriore approfondimento sulla figura del martire.

6 - Storia ecclesiastica di Sardegna dell'avvocato Pietro Martini, Vol. 3.

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Articolo presente anche su: chiesecampestri.blogspot.it

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