di Giuseppe Ruiu
Donna Antonia de Ledda Tinteri era, insieme a poche altre, una "mastra ’e partu" nella Cargeghe della seconda metà del 1500.
Non sappiamo praticamente niente del suo personale vissuto (venne registrata alcune volte come madrina di battesimo) se non che appartenesse alla classe sociale della piccola nobiltà rurale, i "donnos", proprietari di qualche piccolo bene materiale per lo più edifici, vigne, appezzamenti di terreno agricolo, buoi o greggi.
Donna Antonia era una "mastra", una levatrice: colei che per tradizione spesso familiare, conoscenze che passavano da madre in figlia per generazioni, e per esperienza empirica, faceva nascere i bambini senza essere una vera e propria ostetrica, la cui figura sarà istituzionalizzata e regolarizzata solo qualche secolo dopo con un diploma che ne certificava la professionalità.
Nella Cargeghe di quell'epoca remota tali figure erano conosciute con il termine sardo arcaico di "sa Mamaya", forse una sorta di dispregiativo che le "marchiava" socialmente all'interno di quelle comunità.
Il delicato ruolo della levatrice nel XVI secolo necessitava di un importante bagaglio di conoscenze in merito a numerose discipline, dall'uso delle erbe medicinali, alla preparazione degli unguenti per alleviare i dolori del parto, all'anatomia del corpo femminile ecc.
Tutto ciò non era ben visto dall'Inquisizione che in maniera capillare esercitava un'azione di controllo costante su quella società in merito al rispetto dei dettami della fede cattolica. Non è un caso che molte delle donne inquisite e tacciate di essere delle streghe in realtà svolgevano questo ruolo così importante legato alla vita ma con dei risvolti - basti pensare agli aborti, alle pratiche contraccettive o a quelle legate alle problematiche riproduttive - che prestavano il fianco alle intrusioni di una istituzione religiosa composta da uomini permeati di morbosa ossessione verso l'universo femminile.
Donna Antonia de Ledda Tinteri nell'anno 1584, come certifica la sua registrazione di morte, lo stesso giorno dopo avere fatto testamento davanti a dei testimoni (possedeva qualche bene evidentemente) nelle mani dello scrivano del paese venne "passata a miglior vita": "est istada passada"...
Non morì dunque di morte naturale, non passò a miglior vita ma "venne passata"!
La ricerca d'archivio al momento non ci consente di affermare che sia stata condannata tramite “autodafè” per stregoneria dal Tribunale dell'Inquisizione, che nella Sardegna spagnola della seconda metà del 1500 era acquartierato nel vicino castello medievale di Sassari, ma solo che, a quanto è lecito dedurre, un'autorità superiore la condannò a morte per un "crimine" a noi al momento del tutto sconosciuto.
Questo articolo è dedicato ad Antonia in sua memoria.
Trascrizione e traduzione registrazione di morte:
«Est istada passada de custa vida p[rese]nte Antonia Tinterj hoe a 28 de S[an]tu Andria at recidu sos sacramentos conforme cumandat sa quesia esu Sacru Consiliu at fattu testamentu cu(n?) tes(te?) in podere dessu mag[nific]u iscrianu hoe die a 28 de S[an]tu Andria 1584.»
(È stata passata da questa vita presente Antonia Tinteri* oggi il 28 di novembre ha ricevuto i sacramenti conforme ai comandamenti della Chiesa e del Sacro Concilio. Ha fatto testamento con testimoni in potere dello scrivano oggi il giorno 28 di novembre 1584.)
*In altri documenti è registrata alternativamente come: comare donna Antonia de Led(d)a Tinteri, comare donna Antonia de Ledda, comare donna Antonia Tinteri, mastra Antonia Tinteri.
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